Caro Presidente, sono una tua collega di partito e sono omosessuale. In questo 17 maggio, la giornata internazionale contro l’omofobia. ti vorrei raccontare il più bel sogno della mia vita, che ho realizzato solo in parte ma che mi piacerebbe veder completo, con la consapevolezza che ancora molto c’è da fare.
La mia famiglia è la metà compiuta ed è sicuramente la cosa più importante che io abbia; la mia compagna Chiara e la piccola Anita, nostra figlia, concepita attraverso la procreazione medicalmente assistita, sono il mio universo. Questa è una famiglia, caro Presidente, ma c’è un’altra metà del cielo ancora tutta da conquistare. Riguarda i diritti civili che a questo nucleo e a tutte le famiglie omogenitoriali vorrei fossero pienamente riconosciuti; vorrei che tutti godessero delle stesse prerogative che attualmente sono ad appannaggio delle sole famiglie eterosessuali.
Caro Presidente ti invito a guardare quello che è stato fatto a Milano anche col mio contributo, visto che dal settembre scorso siedo tra i banchi del Consiglio comunale, in quota al partito di cui siamo entrambi componenti.
Con questa mia ti voglio però ricordare che sono migliaia le famiglie che fiduciose attendono. So che non ci deluderai e che forse farai ben più di quello che hai anticipato. A tal proposito, ti vorrei ora raccontare un paradosso che mi riguarda personalmente: in quanto Consigliere comunale, posso sposare ma non posso contrarre matrimonio con la mia compagna. Eppure non vedo differenze tra noi e le coppie eterosessuali che vengono davanti a me a siglare la loro unione.
Quando nel salone di Palazzo Reale di Milano dedicato alle cerimonie, sento pronunciare dai futuri marito e moglie quel fatidico “sì”, ho un salto al cuore. Mi immagino al loro posto assieme a Chiara e di questo sogno per un istante mi sazio. Poi mi risveglio in un paese dove tutto questo è proibito, dove qualcuno ancora ritiene il matrimonio una prerogativa delle sole coppie eterosessuali e dove la politica nazionale tergiversa o prende tempo.
Voglio allora che il mio Paese cambi, caro Presidente, e che quel sogno che ti dicevo, si realizzi pienamente. Un sogno, ti avverto, che non rimarrà mai più chiuso in un cassetto ma sarà posto, presentato ed urlato, nel caso, in faccia a tutti. Questo lo richiede anche il senso della giornata che stiamo ricordando.
Caro Presidente anche la mia è una famiglia; anche il mio è un matrimonio. Ora sta a te!