“Se non fossi nata forte, anch’io probabilmente avrei agito come quei ragazzi che si sono suicidati”. Vittoria è una transgender catanese. Ha “solo” 23 anni, ma è ben consapevole della sua identità di genere. All’anagrafe il suo nome è Simone (nome di fantasia, ndr), ma il suo primo ricordo parte a tre anni “quando mi trovavo a casa di mia nonna e mi sentivo femminuccia“. E poi quando “all’asilo ci andavo con lo zaino di Sailor Moon e mi piacevano le cose femminili che già a quell’età disegnavo”. Una consapevolezza che arriva subito, quella di essere nata maschio e sentirsi donna, pur senza desiderare di cambiare sesso, e che viene vissuta con serenità grazie anche al supporto dei genitori: “Non hanno compreso subito – racconta Vittoria che si è ribattezzata così in onore della tanto amata letteratura inglese – Non volevano accettare in me, il loro ‘figlio’, la condizione di transessuale per paura che gli altri potessero farmi del male, ma poi hanno capito”.
E’ a 21 anni che Vittoria diventa attivista per i diritti delle persone gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali (Lgbtqi), “perché credo che nessuno debba essere superiore o inferiore a nessun altro in diritti e doveri”. Oggi va all’Università di Catania, al dipartimento di scienze umanistiche e lì porta avanti la battaglia per il doppio libretto: “Come gli altri documenti, il libretto universitario porta scritto un nome che non corrisponde alla mia immagine e alla mia identità. Ogni volta devo dare spiegazioni che violano la mia privacy“. A Torino, Bologna, Napoli e Padova è già una realtà: gli studenti trans, avendo diritto al doppio libretto universitario e al doppio badge, non sono costretti a raccontare le proprie storie personali non solo in sede d’esame, ma anche quotidianamente, ogni volta che si debba verificarne l’identità: dall’accesso alla biblioteca e alla mensa, dalla candidatura alla riscossione di borse di studio.
L’università non è l’unico ambiente dove Vittoria si sente discriminata. Iscriversi in palestra, affittare un appartamento con altre coinquiline, prendere la patente o viaggiare possono diventare problemi insormontabili se sulla carta di identà c’è scritto Simone, ma tu sei in tutto e per tutto Vittoria. “Sono arrabbiata nei confronti di una politica che ghettizza e umilia chi, come me, non sente alcuna necessità di sottoporsi a un’operazione chirurgica – racconta ancora – Come si fa a non rendersi conto che una legge contro l’omofobia e la transfobia è necessaria? Come possono quelli che dovrebbero rappresentarci usare parole di odio nei nostri confronti istigando chi già ci discrimina a compiere atti di violenza fisica e verbale?”. Eppure, dice, sarebbe semplice dotarsi di una norma degna di un paese laico: “Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha parlato della ‘civil partnership’ all’inglese, ma forse è rimasto indietro perché, nel frattempo nel Regno Unito hanno approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso“.
Oggi alle 16, in occasione della Giornata mondiale contro omo e transfobia, Vittoria sarà in piazza Stesicoro a Catania. Insieme a Queer as Unict, Stonewall Siracusa e alla sezione etnea del Sism, chiederà ai passanti di fermarsi per scattare una foto e testimoniare la volontà di lottare contro il pregiudizio. Un’occasione per far conoscere anche la battaglia portata avanti dalla veterinaria transessuale Michela Angelini: una raccolta firme per chiedere la modifica della legge 164/82 che disciplina l’attribuzione del sesso. In base a questa norma i nuovi documenti vengono rilasciati solo dopo l’operazione chirurgica (lunga fino a sei anni, costosa e dolorosa). “Non ho intenzione di subire mutilazioni genitali“, puntualizza Michela nella petizione. Come Vittoria, questa ragazza di Livorno è “in perfetta sintonia con il suo corpo attuale” e non sente, quindi, la necessità di sottoporsi ad alcun intervento definitivo. La richiesta – indirizzata alla presidente della Camera Laura Boldrini e al presidente del Senato Pietro Grasso – è semplice: accelerare i tempi di approvazione del disegno di legge 405 perché il cambio anagrafico non dipenda da un giudice, ma da una decisione personale. “Vogliamo documenti che rappresentino la nostra persona e non i nostri genitali”.