Ad una settimana dal voto europeo in nessun paese è possibile affermare che per chi ha diritto a votare ci sia l’imbarazzo della scelta. Ancora più problematico è il voto per i residenti all’estero, ad esempio italiani che risiedono in Gran Bretagna. Costoro infatti votano due volte, una per il paese di nascita ed una per la nazione di residenza, ecco l’ennesima anomalia dell’attuale costruzione europea.
Difficile la scelta elettorale per un motivo semplice: nessun partito ha un programma chiaro e fattibile per il futuro dell’Europa. Da una parte c’è lo schieramento tradizionale, che è a favore dell’Unione, e dall’altra gli euroscettici, ai quali non va proprio giù come stanno le cose. Me né i primi né i secondi si sbilanciano con proposte concrete, entrambi fanno una campagna elettorale prettamente populista evitando spiegazioni, dati, numeri e fatti concreti.
L’elettore attento e preoccupato questa settimana si sarà letto la serie di articoli pubblicati dal Financial Times su come è stato salvato l’euro e costui avrà scoperto ciò che tutti temevano: che non esisteva un piano d’azione e che tra le lacrime della Merkel, le crisi isteriche di Sarkozy, l’umiliazione dei greci e del resto dei Piigs, i colpi di scena di Mario Draghi e così via la leadership europea ha ristrutturato l’Unione senza quasi rendersene conto. Colpisce nel racconto l’improvvisazione con cui si fa politica a Bruxelles e nel resto d’Europa. Colpisce anche l’ignoranza in cui versa il Continente riguardo alla nuova struttura dell’Unione. Una cosa è certa e va detta: questa volta nessun paese europeo ha militarmente attaccato il proprio vicino, quindi un obiettivo almeno l’Unione lo ha raggiunto, evitare una guerra come in passato.
Il problema economico però perdura, la ripresa non esiste e persino la Germania nel primo trimestre del 2014 ha registrato un aumento del Pil inferiore all’1 per cento (0,7). A parte l’economia italiana, che da anni si contrae e che nel primo trimestre del 2014 ha registrato un – 0,1 per cento, preoccupa la contrazione dell’Olanda (-1,5), della Finlandia (-0,7) e la stagnazione della Francia (0). Preoccupa anche l’atteggiamento dei mercati nei confronti delle elezioni: la paura che gli euroscettici riempiano un terzo del parlamento europeo ha prodotto un’atmosfera di sfiducia nei confronti dei titoli europei, ma ciò che questa settimana ha fatto crollare le borse è stato il timore che la Banca centrale non sia in grado di fare ciò che ha promesso nel lontano autunno del 2011 e cioè fare “qualsiasi cosa” per salvare l’euro, incluso stampare carta moneta.
Oggi però il problema non è la moneta unica, ma qualcosa di ben più importante: il processo di integrazione dell’Unione stessa. La crisi del debito sovrano ha evitato una guerra ma ha trasmesso negli stati membri il morbo della sfiducia. Chi ne è cosciente, come il Bruegel Institute di Bruxelles, ha già messo in guardia la leadership contro questa epidemia. In uno studio pubblicato recentemente si elencano i problemi sociali ed economici attuali. In prima fila c’è la perdita di 6 milioni di posti lavoro tra il 2008 ed il 2013 ed il conseguente aumento della povertà. Lo sforzo fiscale imposto dall’austerità è stato in gran parte sostenuto dai giovani e questo ha aumentato le diseguaglianze socio-economiche tra le classi d’età. Paradossalmente i paesi più poveri sono anche quelli più indebitati anche a causa di un sistema di assistenza sociale meno efficiente, ne consegue un aumento dell’indebitamento personale e delle famiglie per far fronte alle inefficienze dello stato. Queste nazioni sono anche quelle dove si è abbattuta più pesantemente la scure dell’austerità.
Chiunque governerà l’Europa tra una settimana dovrà confrontarsi con tre grosse sfide: Povertà e disoccupazione, come liberarsene e così facendo aumentare il gettito fiscale? Come creare lavoro con politiche non nazionali ma comunitarie, in altre parole senza danneggiare altri stati membri? Come riformare a livello comunitario il sistema di tassazione per abolire le diseguaglianze e ripristinare un sistema etico di contributi fiscali? In sintesi come evitare che l’Unione piombi in una spirale deflattiva che avvantaggia i ricchi, perché hanno un portafoglio internazionale, e punisce i meno abbienti, perché legati all’economia del continente.
La soluzione, naturalmente, non può essere meno Europa ma più Europa, indietro non si può andare. Ma più Europa non significa necessariamente perseguire le stesse politiche fino ad ora adottate o non ammettere gli errori fatti in passato e rimediarvi. Invece che l’orgoglio abbiamo bisogno di una sana dose di umiltà.
Tra le proposte diverse c’è quella del Bruegel Institute che prevede l’acquisto da parte della Bce dei titoli emessi dagli istituti creati negli ultimi tre anni per salvare l’Euro: il MES ed il Fondo europeo di stabilità finanziaria, pari a 490 miliardi di euro. Il nuovo Parlamento non avrà il potere di approvare proposte analoghe ma almeno il voto di dissenso nei confronti delle politiche fino ad ora perseguite farà riflettere i politici nazionali e, chissà, forse li ispirerà!