Dario Nardella ha dichiarato che non sapeva che la sua stessa amministrazione avesse noleggiato – per la miseria di 20.000 euro – una chiesa monumentale della sua città ad una delle più potenti banche d’affari del mondo.
Dobbiamo credergli?
Nardella non è il primo che passa. È in politica da dieci anni tondi, è vicesindaco di Firenze da cinque, ora è sindaco reggente e candidato a sindaco. Davvero non sa cosa succede a Palazzo Vecchio?
Se lo sapeva, e ora ci prende in giro, Firenze rischia di avere un sindaco che fa della menzogna uno strumento politico. Non sarebbe una novità: per Matteo Renzi è stata un’abitudine. Un solo esempio, che ci fa restare in tema. Durante le polemiche per l’affitto di Ponte Vecchio alla Ferrari, Renzi disse che il ricavato era di 120.000 euro e che sarebbe servito a finanziare le vacanze di bambini disabili tagliate dal governo. Come dimostrano incontrovertibilmente i documenti, era tutto falso. L’incasso del Comune fu di 17.989 euro, e nessuno aveva tagliato le vacanze di quei bambini. E false non erano solo le dichiarazioni di Renzi, ma anche le carte: l’occupazione di suolo pubblico fu rilasciata solo la mattina dopo l’evento, con la relativa prescrizione di lasciare un passaggio per le ambulanze (ovviamente non rispettata, essendo stata ‘imposta’ il giorno dopo).
D’altra parte, anche Nardella non scherza, in quanto a balle. Per giustificare la chiusura di Santa Maria Novella – interdetta a fedeli e turisti per un giorno intero, mentre si allestivano le mense per i paperoni – ieri ha dichiarato che «quando hanno chiuso il Louvre e la sala della Gioconda per una sfilata di Ferragamo, a Firenze applaudivamo». Nardella si riferisce ad una sfilata del giugno 2012: che si tenne però in un cortile (non dentro il museo, e non sotto le opere!), e senza chiudere le sale nemmeno per un minuto. Quanto bisogna essere provinciali per pensare che il Louvre possa chiudere anche solo un minuto per un privato?! Forse l’aspirante sindaco ignora che in Francia lo Stato c’è, a differenza che in Italia. Accanto alle balle, le omissioni: Nardella si guarda bene dal dire che quella sfilata fruttò al Louvre alcuni milioni, non gli spiccioli fiorentini. Ancora una volta: o Nardella non sa quello che dice, o mente.
Ma se davvero Nardella ignorava tutto, sulla Morgan Stanley, i fiorentini stanno per avere un sindaco che letteralmente non sa quello che fa. E non è un’ipotesi da escludere. A organizzare la cena a Santa Maria Novella è stata la responsabile della Direzione Cultura di Palazzo Vecchio, Lucia De Siervo: che appartiene al cerchio magico renziano, ed è sorella di Luigi, amicissimo di Renzi e possibile prossimo Direttore Generale della Rai. Se davvero la De Siervo non ha detto nulla a Nardella, significa che a Firenze si profila un governo di gruppo della corte, in cui ognuno va per i fatti suoi, forte del rapporto diretto col Re Sole che splende a Roma. D’altra parte, Nardella ha un po’ il profilo del fratello, come dire, meno d’impatto: un po’ alla Paolo Berlusconi o alla Andrea Della Valle.
E questa debolezza si è manifestata clamorosamente nella toppa che ha provato a mettere: una toppa ben peggiore del buco. Per mezza giornata ha difeso l’operazione, poi – travolto dal ridicolo – ha chiesto alla Morgan Stanley lo «sforzo» di arrivare a 40.000 euro. Lo «sforzo», capite? Alla Morgan Stanley!! Che gestisce oltre 3000 miliardi di dollari! Ora, sono personalmente felice che un mio articolo su il Fatto Quotidiano abbia fruttato al mio Comune 20.000 euro (sempre che la banca quello sforzo, alla fine, lo faccia), ma sono interdetto dalla dabbenaggine del vicesindaco.
Forse Nardella ignora che se due ragazzi fiorentini vogliono sposarsi nel ‘loro’ Salone dei Cinquecento nel ‘loro’ Palazzo Vecchio devono pagare 5000 euro. Come può pensare che sia equo chiederne 40.000 a un simile colosso finanziario, per una cena con 120 persone? Un prezzo equo sarebbe forse 400.000 euro, altro che 40.000!
Personalmente penso che sarebbe stato comunque un errore, anche per un milione. Credo che debbano esistere cose che il denaro non può comprare, e il patrimonio monumentale pubblico è tra quelle. Perché è un luogo di eguaglianza e cittadinanza: uno dei pochi antidoti alla dittatura del mercato e all’esclusione basata sul lusso. Ma mi rendo conto che questa è un’idea di sinistra: una sinistra che con Renzi e Nardella non ha nulla a che fare. E come cristiano (cresciuto proprio a Santa Maria Novella) non posso che essere d’accordo con quello che ha scritto il padre domenicano Alberto Simoni quando ha appreso che i banchieri avevano banchettano sotto le immagini affrescate dei santi domenicani: «quello che più mi indigna è pensare a Domenico, a Tommaso e ai Frati Predicatori (e come non pensare al Savonarola?) spettatori di un mondo che sono chiamati a combattere vangelo alla mano! Se potessero muoversi, probabilmente ripeterebbero il gesto di Gesù: “Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe” (Mc 11,15)».
Ma, comunque la si pensi, è intollerabile che un’amministrazione racconti balle ai suoi concittadini. E, a Santa Maria Novella, il cartello che ha respinto per una intera giornata fedeli e turisti accampava «motivi liturgici». Un cartello infame, che – mentendo – provava a dare la colpa alla preghiera dei frati. Un cartello che travestiva da riti sacri gli affari delle banche, e dei politici loro amici.
In una qualunque competizione elettorale americana il Nardella di turno sarebbe stato costretto a ritirarsi, se la sua amministrazione fosse stata beccata a mentire sulla gestione privata di un bene pubblico. Mentre, purtroppo, in Italia si dà per scontato che il culto del denaro e del potere abbia le sue liturgie. E i suoi rosari di menzogne.