Ottocento chili di cocaina provocarono l’assalto e la distruzione di Allende, un paesino di Coahuila, in cui i narcos del gruppo degli Zetas trasformarono i ranch in campi di sterminio. Il tutto coperto dal silenzio ufficiale. (Leggi la prima parte del reportage – la seconda parte)
Il massacro
Ci lasciamo alle spalle il centro di Allende e prendiamo la strada provinciale diretti a Villa Unión. All’altezza del chilometro nove prendiamo una strada sterrata. Da questo momento entriamo nella terra della famiglia Garza. Qualche chilometro più avanti troviamo la prima costruzione, proprietà di Luis Garza Garza: una casa di cinque stanze color crema e verde, semidistrutta. Dentro una luce polverosa che illumina pietre, vetri rotti e erbacce che crescono tra le carte vergate con il nome della famiglia Garza Garza. Sotto il portico una piscina terrosa che dà una sensazione di stravaganza e tristezza in mezzo alla pianura solitaria. Prima di essere rasa al suolo, questa era la casa in cui abitavano sette adulti e tre bambini che poi sparirono. Dietro alla costruzione della casa i resti di una cantina della quale sono stati rubati anche gli alti soffitti di lamiera.
Il ranch successivo sulla strada è quello di Jesús Garza Garza. La casa dove viveva il bovaro ha le pareti principali con un buco come finestra. Solo la metà di un granaio accanto alla casa è rimasto in piedi. Uno del Gate ispeziona il posto e dice che sembra essere stato abbattuto con un missile.
– Un rocket? domando
– Si, da queste parte ci hanno lanciato contro anche missili. Ma anche così non sono riusciti ad averla vinta.
– Si è trattato di un combattimento?
– No. Ci tesero un’imboscata lì, all’entrata di Allende, da dove siamo appena passati.
Continuiamo a camminare. Il Gate indossa un’uniforme mimetica del deserto, insieme alle loro AR-15 e i giubbotti antiproiettile. All’improvviso si inginocchia per guardare da vicino la cenere. “Credo che qui cucinassero”, dice, indicando un angolo del granaio. “Per questo dopo incendiarono tutto, perché non restasse neanche una traccia di sangue, né altro”. Nonostante questo, il ranch che sta analizzando la Procura è il terzo, quello di proprietà di Rodolfo Garza Garza. Mentre ci avviciniamo al posto, il persistente suono dei cavi di alta tensione delle torri che sono state alzate nel bel mezzo del niente genera maggiore insicurezza. A circa 30 metri di distanza dalla costruzione principale appaiono delle montagne di bidoni di diesel da 20 litri vuoti e decine di cerchioni, usati per facilitare la combustione. Queste è il materiale impiegato dai criminali per far sparire le proprie vittime. Nel 2013, un soldato degli Zetas raccontò al corrispondente di guerra, Jon Lee Anderson, il modo in cui funzionano questi posti: “JLA: Questa storia del diesel non sono riuscito a capirla mai del tutto. Gli danno fuoco o il diesel da sé finisce per corrodere il corpo?
“Z: Si. Ti buttano nel barile e con una bottiglia di venti litri ti iniziano a bagnare. Così cominciano a buttare nel barile il liquido e pezzo per pezzo sparisci. Il tutto dura circa una mezz’ora, alla fine della quale di te non resta niente.
“JLA: Ti consumi….
“Z: Del tutto. Ti buttano altro diesel se si spegne la fiamma. Quando vedi che si sta spegnendo il fuoco buttano un altra latta di olio e così te ne vai…La prima volta che sono stato coinvolto in una cosa del genere, non riuscii a mangiare carne rossa né pollo perché hanno lo stesso odore, quasi lo stesso, di quello che si sente passando accanto ad un ristorante o un luogo dove vendono pollo arrosto. Mi resi conto che il pollo cotto ha lo stesso odore di una persona.”
Ottocento chili di cocaina
Anche se Juan Alberto Cedillo, corrispondente della rivista ‘Processo’ in questa zona aveva sentito voci che la rottura all’interno degli Zetas era la ragione per la quale Allende era stata rasa al suolo nella primavera del 2011, fino ad aprile del 2013 non aveva confermato nei dettagli l’accaduto. Il 18 aprile andò a Austin, Texas, per partecipare al giudizio a vari membri degli Zetas. Mario Alfonso Cuéllar, che era stato uno dei principali operatori della banda della zona, dichiarò alla corte texana che Miguel Ángel Treviño, leader conosciuto come Z-40 aveva ordinato la sua morte perché credeva che stesse passando informazioni alla Dea sul traffico della cocaina da Piedras Negras. In realtà, chi lo stava facendo erano Héctor Moreno Villanueva e José Luis Garza Gaytán, due prestanome, che avevano aderito al programma testimoni. Sia Moreno Villanueva che Garza Gaytán aiutavano Cuéllar a trafficare tra i 500 e gli 800 chili di cocaina al mese destinati al mercato degli Stati Uniti – il paese più cocainomane del mondo – attraverso Eagle Pass, Texas. Il prezzo di un chilo in questa zona sta circa intorno ai 20mila dollari, per cui il guadagno stimato era di 16 milioni di dollari, dei quali dieci se ne andavano per pagare i venditori colombiani, i costi del trasporto e le mazzette alle autorità di diversi paesi, principalmente quelle messicane. Il guadagno netto dell’organizzazione era di 6 milioni di dollari al mese solo in questo punto della frontiera.
– Perché? – domando.
– A grandi linee, tutto questo non è finito. Quelli continuano a girare da queste parti.
Secondo altre testimonianze raccolte, l’uomo che diresse il massacro della primavera in questo paese con la sorgente si chiama Gabriel Zaragoza e lo chiamavano Comandante Flacaman. Nel 2012, Comandante Flacaman venne assissinato a San Luis Potosì dai suoi stessi compagni, durante un’altra faida interna.
Degli altri esecutori non si sa niente. Tanto meno dei funzionari che permisero questo massacro.
Diego Enrique Osorno: autore del libro “Z: La guerra dei narcos” (Nuova Frontiera, 2013). Venite a trovarmi anche sul mio sito: diegoeosorno.com.
Twitter: @diegoeosorno
(Traduzione di Alessia Grossi)