L’Italia resta agli ultimi posti dell’Unione europea per tasso di occupazione. Nel 2013, secondo i dati Eurostat pubblicati lunedì 19, lavorava solo il 59,8% delle persone tra i 20 e i 64 anni, un dato che riporta il Paese ai livelli del 2002 (59,2%) scendendo per la prima volta sotto il 60% da 12 anni. Il dato è di 8,5 punti inferiore alla media europea (68,3%) e il peggiore dopo quello di Grecia, Croazia e Spagna. La fascia più penalizzata in questi undici anni è stata quella tra i 25 e i 34 anni: tra il 2002 e il 2013 si sono persi due milioni di occupati (da 6,3 milioni a 4,3 milioni) e oltre 12 punti percentuali per il tasso di occupazione (dal 72,6% al 60,2%). Se si guarda all’intera fascia giovanile (dai 15 ai 34 anni) i posti persi tra il 2004 e il 2013 toccano quota 2,5 milioni. E’ invece aumentata, anche grazie alla riforma del sistema previdenziale e all’innalzamento dell’età pensionabile, la quota degli over 55 al lavoro: in Italia il tasso di occupazione è passato dal 28,6% del 2002 al 42,7% del 2013 (4,8 punti in più solo tra il 2011 e il 2013). Un aumento in linea con la crescita sperimentata nel resto d’Europa, dove l’occupazione in questa fascia di età è passata dal 38,1% al 50,1%. I dati Eurostat, ha detto il presidente del Consiglio Matteo Renzi, mostrano che nel 2013 “sul lavoro si è toccato un punto molto basso eppure inizio a vedere i segni di una ripresa”. Mentre il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha sottolineato che a due settimane dall’avvio ci sono già 50mila ragazzi iscritti al piano Garanzia Giovani, che dovrebbe dare opportunità a chi non studia né lavora.
La differenza con i livelli occupazionali dei Paesi più virtuosi è comunque significativa: in Germania lavora il 77,1% delle persone tra i 20 e i 64 anni (quasi venti punti in più rispetto all’Italia) e il target del 77% al 2020 risulta dunque già superato. In Inghilterra è attivo il 74,9% degli abitanti, in Francia l’asticella si ferma al 69,5%. Se in Svezia lavora il 79,8% delle persone tra i 20 e i 64 anni, i più stakanovisti sono però fuori dall’Europa: in testa alla classifica ci sono l’Islanda, all’82,8% (comunque in calo rispetto all’87,8% nel 2002) e la Svizzera, all’82,1%.
In Europa nel 2013, rileva Eurostat, c’erano 26,2 milioni di disoccupati, 900mila in più rispetto al 2012. In Italia lo scorso anno i disoccupati erano 3.113.000, quasi 370mila in più rispetto al 2012 e 1,6 milioni in più rispetto al 2007. Il governo, ha spiegato il ministro Poletti, tra un anno farà una verifica sul Dl lavoro e sarà pronto a “cambiare strada” qualora i risultati non fossero positivi. “Tra dodici mesi verificheremo gli esiti e se questi saranno positivi insisteremo. Se invece dovessero dimostrare che non abbiamo intrapreso la strada giusta, la cambieremo”. La numero uno della Cgil, Susanna Camusso, ha commentato però che “il peggioramento delle condizioni di lavoro non è la strada per il cambiamento. La precarietà è tra le ragioni di questa crisi. Non a caso il sindacato mondiale parte dalla denuncia del fatto che sta aumentando la quota di coloro che nel linguaggio internazionale vengono chiamati lavoratori informali, che non hanno cioè nessuna forma contrattuale, né diritti”.