Altro che aprire gli armadi e abolire il segreto, come promesso da Matteo Renzi. Si è abbassato invece un “nero sipario” sull’attività dei servizi di sicurezza, che ha abbattuto in radice non soltanto ogni possibilità di conoscere la verità, ma anche ogni potere di controllo da parte della magistratura, sottoposta di fatto alla discrezionalità della politica. A dirlo non è un oppositore antisistema, ma la Corte di cassazione, nelle motivazioni della sentenza con cui è stata costretta a prosciogliere i vertici del Sismi, il servizio segreto militare, dalle accuse di aver partecipato al sequestro di Abu Omar. E l’oggetto della loro – per niente velata – polemica è nientemeno che la Corte costituzionale, che nella sua ultima sentenza sul caso avrebbe abbattuto “alla radice la possibilità stessa di una verifica di legittimità, continenza e ragionevolezza dell’esercizio del potere di segretazione in capo alla competente autorità amministrativa, con compressione del dovere di accertamento dei reati da parte dell’autorità giudiziaria che inevitabilmente finisce per essere rimessa alla discrezionalità della politica”.
È l’atto finale della vicenda dell’imam rapito a Milano il 17 febbraio 2003 da agenti della Cia. Per quel sequestro di persona, i tribunali italiani hanno già condannato in via definitiva 26 cittadini americani. Avevano condannato a pene pesanti anche alcuni ufficiali italiani del Sismi accusati di aver collaborato all’operazione: tra questi, il direttore del servizio Nicolò Pollari e il suo braccio destro Marco Mancini. Avevano fatto ricorso, forti delle pronuncie della Corte costituzionale, chiamata in causa da quattro governi (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta) che avevano sollevato conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato, sostenendo che la magistratura non poteva utilizzare atti coperti dal segreto.
La Consulta ha dato ragione ai governi e torto ai giudici, tanto che la Cassazione – presidente Cristina Siotto, relatore Umberto Zampetti – il 24 febbraio aveva definitivamente prosciolto gli imputati. Il 16 maggio 2014 sono state depositate le motivazioni del proscioglimento: pesantissime contro la decisione della Corte costituzionale. “Dirompente” e “dilacerante”. La Consulta ha “inaspettatamente” tracciato “quell’ampio perimetro” di immunità che costringe i supremi giudici a un proscioglimento “ineludibile”, ma che viene concesso “obtorto collo” e solo per “neutrale lealtà istituzionale”, anche se la decisione “non può non indurre ampie e profonde riflessioni che vanno al di là del caso singolo” e che hanno a che fare con i “capisaldi dell’assetto democratico del Paese”. Nelle precedenti decisioni sul segreto, scrivono i giudici, la Consulta si era mossa “secondo un filone valoriale custode degli equilibri costituzionali”. Così nessun segreto di Stato sul sequestro di Abu Omar, “la cui marcata illegalità era ben evidentemente fuori dei perimetri istituzionali” del Sismi. Ma nell’ultima sentenza, secondo i giudici, la Consulta ha cambiato “orientamento”, assumendone uno “francamente demolitorio”.
“In conclusione, risultano coperti da segreto di Stato, ritualmente apposto, le direttive e gli ordini che sarebbero stati impartiti dal direttore del Sismi agli appartenenti al medesimo organismo ancorché fossero in qualche modo collegati al fatto di reato, con la conseguenza dello sbarramento al potere giurisdizionale”. Fin qui, il “nero sipario” del segreto poteva proteggere soltanto i rapporti tra servizi italiani e stranieri e gli “interna corporis, intesi come assetti organizzativi e operativi”, con riferimento “ad attività istituzionale lecita”. Ora invece, per la prima volta – nell’Italia delle stragi e dei misteri – è sceso ufficialmente a coprire anche l’area dei comportamenti illegali. La massima istituzione della giustizia penale e civile prende a schiaffi la massima istituzione a presidio della Costituzione. Altro che scontro Robledo-Bruti.