Dire “Chega de fiu fiu“, in Brasile, equivale a esclamare un sonoro “smetti di fischiare!”. Il “fischio” in questione è quello che i brasiliani (ma non solo) riservano alle donne che camminano in strada. Contro questo modo di fare la giornalista Juliana de Faria Kenski, ideatrice del think thank ‘Olga‘, ha scelto quindi lo slogan “Chega de fiu fiu” per la campagna che si propone di segnalare i luoghi dove le molestie sono più frequenti e il loro grado di pericolosità. Nell’immaginario comune si pensa al paese sudamericano come al luogo in cui bellissime donne passeggiano poco vestite su sfondi fatti di mare e spiagge. Ecco, sono quelle stesse donne a voler sfatare questo luogo comune con l’obiettivo di far capire agli uomini che fischi e apprezzamenti a sfondo sessuale – impliciti o espliciti – possono equivalere a offese in tutto e per tutto. E per evitare che queste stesse offese si trasformino in qualcosa di più grave è necessario partire dai piccoli gesti quotidiani, superando la concezione secondo cui la donna è un oggetto da ammirare e, per l’appunto, fischiare.
Un piano ambizioso, certo, ma organizzato fin nei minimi dettagli dal team Olga e animato dall’idea che ogni donna debba essere libera di camminare per la strada senza temere di essere fermata o importunata. Il punto di partenza è una mappa in cui è possibile segnalare in forma anonima la località e il tipo di molestia subita, dalla minaccia verbale, all’intimidazione, dall’attacco al pudore, finanche allo stupro. Accedendo a chegadefiufiu.com.br, infatti, non solo è possibile raccontare l’accaduto, ma anche scoprire il grado di pericolosità di un luogo in base al numero di segnalazioni ricevute.
Navigando sul sito ci si imbatte in episodi di minaccia verbale: “Un pomeriggio ero per strada quando una macchina ha iniziato a seguirmi – si legge nella segnalazione – L’uomo che guidava comincia a rivolgersi a me chiamandomi ‘bella’; io ho continuato a camminare, cercando di ignorarlo. Ma lui ha insistito, dicendo che mi avrebbe dato volentieri un passaggio. In quel momento ho avuto paura e ho attraversato la strada per allontanarmi. Desideravo tornare a casa e non uscire mai più“. Non mancano neppure gli esempi di aggressione fisica vera e propria: “Anni fa un uomo si è avvicinato per conoscermi, ma io l’ho rifiutato – racconta un’utente – Allora, offeso, mi ha afferrato il braccio e mi ha tirato verso di sé, cercando di baciarmi. Un mio amico, che aveva visto la scena, si era avvicinato per difendermi, ma l’uomo, ubriaco, ha reagito tentando di schiaffeggiarmi, fortunatamente senza riuscirci”.
Come si può intuire da queste e da altre testimonianze lasciate sul sito, le intimidazioni (e non solo quelle verbali) sono piuttosto diffuse in Brasile. Lo conferma anche un sondaggio pubblicato il marzo scorso da Ipea che ha destato molto scalpore: il 58,5% degli intervistati ha dichiarato, infatti, che se le donne “si sapessero comportare adeguatamente”, non sarebbero vittime di molestie. Una risposta che fa assomigliare il Brasile più all’Egitto – dove, nonostante una legge appena approvata punisca gli autori delle molestie sessuali, l’opinione comune prevalente continua a criminalizzare le donne per l’abbigliamento provocatorio – che a un Paese aperto e progressista in procinto di ospitare l’evento sportivo più importante del mondo dopo le Olimpiadi. Nel dibattito è intervenuta anche la presidente Dilma Rousseff dichiarando che, in questo senso, “la società brasiliana ha ancora molta strada da fare”.
Nel resto del mondo non mancano iniziative simili a “Chega de fiu fiu”: ad esempio “Hollaback!”, il movimento nato nel 2005 e diffuso a livello globale, si propone di combattere le molestie in strada sempre attraverso lo strumento di denuncia online. Oppure “Women under siege“ (“Donne sotto assedio”, ndr) sviluppato in Siria dal Women’s media center e “HarassMap“, associazione guidata da Rebecca Chiao in Egitto: entrambi i progetti hanno sviluppato delle crowdmap: mappe interattive in cui vengono indicati con un bollino rosso i casi di violenza sessuale segnalati dagli utenti.
Per il Sud America si tratta certamente di un passo in avanti verso un maggiore rispetto della donna. Del resto, come spiega uno degli slogan della campagna, “camminare in uno spazio pubblico non rende pubblico il corpo di una donna”.