Musica

Coldplay – Ghost Stories, nel nuovo album liriche troppo semplici

I singoli che ne hanno anticipato l'uscita sono arrivati in pochissimo tempo ai primi posti nella classifica italiana e non solo. Ma per ammissione dello stesso Martin il nuovo lavoro è “un percorso sonoro di 42 minuti fatto su un tapis-roulant”. Un approccio riscontrabile nel sound e nelle liriche di un disco caratterizzato da stratificazioni sonore che evitano il più possibile di imbattersi in dinamiche più complesse

di Chiara Felice

La campagna promozionale di Ghost Stories – ultimo lavoro in studio dei Coldplay – è iniziata più di tre mesi fa con la pubblicazione del video di Midnight, ed è andata avanti aggiungendo a intervalli irregolari nuovi tasselli: a marzo il primo singolo, Magic, seguito da A Sky Full of Stars alla fine di aprile. Tutti i singoli conquistano in pochissimo tempo i primi posti nella classifica italiana e non solo, a riprova del fatto che la band continua a riscuotere un enorme successo.

Ghost Stories sembra marcare definitivamente il ruolo predominante di Chris Martin all’interno della band, il quale ha riversato su questo lavoro pensieri ed emozioni scaturiti dalla separazione con Gwyneth Paltrow. Per ammissione dello stesso Martin, Ghost Stories è “…un percorso sonoro di 42 minuti fatto su un tapis-roulant”. Questo approccio è sicuramente riscontrabile nel sound e nelle liriche di un album caratterizzato da stratificazioni sonore che evitano il più possibile di imbattersi in dinamiche più complesse. “I think of you, I haven’t slept” canta Martin nel brano di apertura Always in my head (dove alle backing vocals troviamo la figlia Apple), e questa prima strofa traccia quella che sarà la linea guida dell’intero lavoro. Martin si ferma, medita, si ripiega su se stesso ma non riesce ad elevare i sentimenti nobili nei quali è rimasto intrappolato, stendendo liriche fin troppo semplici: “All I know is that I’m lost whenever you go. All I know is that I love you so” (Ink), “Maybe one day I could fly with you” (O), “And I just got broken, broken into two” (Magic). Lo straordinario spesso si nasconde nella semplicità, e il vero genio è colui che riesce a intercettalo e sublimarlo. Ghost Stories sembra quasi un gesto dovuto, un inevitabile testimonianza dello stato d’animo di un uomo che vista la popolarità, non poteva esimersi dal tradurre in musica e parole le conseguenza della fine di una storia.

In Ocean sembrano tornare a galla i Coldplay degli inizi, quelli che della semplicità ne avevano fatto un motivo di forza, mantenendosi in perfetto equilibrio sopra la sottile linea che li separa dal precipitare nel baratro della banalità.

Dal punto di vista sonoro Ghost Stories non manca di dettagli sonori a volte anche molto interessanti, come nel caso di Midnight. Sulla stessa linea si colloca True Love – co-prodotta da Timbaland – deve finalmente anche la chitarra riesce a ritagliarsi un piccolissimo spazio da protagonista. A parte un paio di eccezioni, tra le quali A Sky Full of Stars, l’ascoltatore sembra avvolto da un senso di perenne immobilità dovuto soprattutto alla creazione di un sound in grado di rispecchiare lo stato d’animo di Martin.

Nel momento in cui i Coldplay hanno rischiato di perdersi a causa della continua riproposizione di un sound che aveva perso originalità, è arrivato il disco Viva La Vida or Death and All His Friends, che grazie al forte apporto di Brian Eno sembrava voler indirizzare la band verso nuovi orizzonti. Ad oggi – con ancora in mente il penultimo album della band Mylo Xyloto – non sembra molto chiara la direzione del gruppo e quest’ultimo Ghost Stories non toglie i dubbi; nonostante la bella copertina concettuale di Mila Furstova e la storia che si cela dietro ogni traccia, l’estrema semplicità Ghost Stories ne scalfisce la personalità.

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