Ieri il “game of thrones” delle elezioni europee ha visto competere in sostanziale contemporaneità i tre signori-comunicatori in lizza. Ma mentre la famiglia Grillo (alla testa dell’orda Dothraki, i terribili uomini-meetup provenienti dalle steppe del web) e la famiglia Renzi (il Matteo sarebbe perfetto nel ruolo del capriccioso e crudele giovane re Joffrey, se solo si ossigenasse i capelli) conquistavano palcoscenici televisivi altrui e comunque non favorevoli alle proprie insegne, confermandosi capi-guerrieri all’attacco, il vecchio magravio Berlusconi (usurpatore di democrazia nell’ultimo ventennio) metteva in mostra impietosa tutta la propria spossatezza senile rintanandosi nell’ultima ridotta a disposizione: lo scalcinato tempietto laddove celebra i riti graditi al padrone il Paolo del Debbio, a libro paga Mediaset.

Allora si è inteso meglio quale sia l’effettivo terreno di scontro per la conquista dei Sette Regni: come le casate emergenti dei Grillo e dei Renzi si spartiranno il tesoro elettorale, ormai scarsamente difeso, del canuto (seppure ripittato) Berlusconi. Ossia l’aggregato che costituì la base della sua ascesa al trono della Seconda Repubblica; in altre parole, il blocco sociale che fondeva tre popoli in un unico “blocco”: gli abbienti, gli impauriti e gli incazzati.

Probabilmente l’area degli abbienti mantiene una certa solidarietà (di portafoglio) con l’ex Cavaliere, fatto smontare da cavallo a seguito di tre gradi di giudizio, tanto da costituire l’ultimo zoccolo su cui fondare la sopravvivenza del casato. Anche perché tali abbienti continuano a subire gli effetti degli incantesimi terroristici berlusconiani, in cui si prefigura l’arrivo incombente di mostri che mettono le loro zampe nelle tasche degli inermi arricchiti e/o dei poveri possidenti; per portare loro via “la roba”, sotto forma di tasse.

Più aperta la partita sugli altri due gruppi.

Renzi cerca di intercettare gli incazzati nella piazza virtuale tenuta “pulita” dalla scopa di Corrado Formigli, provando a convincerli che lui è la cura dei mali da cui dipende la loro arrabbiatura; riproponendo il gingle “partito del fare” che già un quarant’anni fa pretendeva di suonare Ugo La Malfa, per restare in alleanza con la Democrazia Cristiana e nel contempo salvarsi l’anima. Allora solo un’insignificante minoranza se la bevve, ora si starà a vedere. Anche se pare davvero “missione impossibile” quella renziana: far intendere che lui non fa parte di quell’establishment che ha prodotto i motivi per cui il sangue bolle a un numero crescente di italiani. Quando – invece – a molti pare del tutto evidente la sua natura di estrema maschera mimetica del Palazzo; voglioso di sopravvivere a se stesso attraverso il camaleontismo verbale/verboso del principino venuto da Rignano sull’Arno.

Al tempo stesso, non meno problematica è la manovra avvolgente tentata da Grillo, il quale riaccredita con la sua presenza lo screditatissimo salotto di Bruno Vespa nella speranza di tranquillizzare gli impauriti. Anche se i toni bassi della sua voce, naturalmente querula, più che effetti di rassicuramento si direbbe abbiano prodotto una sensazione di lamentosità.

Rischi del giocare fuori casa e – dunque – fare quello che i comunicatori non sanno fare, una volta privati della “coperta di Linus” rappresentata dallo script predisposto dai rispettivi spin-doctor (i soggettisti che gli scrivono i testi e le battute con cui fanno i brillanti): improvvisare.

Insomma, il 25 maggio sapremo finalmente come è andata l’accaparramento dei popoli elettorali alla caduta del signoraggio di Arcore.

Anche se non è assolutamente possibile appurare quanto tutto questo abbia a che fare con l’Europa. Infatti, con una tale sceneggiatura, chi presumeva di parlare del significato effettivo delle imminenti scadenze è andato immediatamente “fuori plot”.

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