La Grande Bellezza quest’anno si chiama Still the Water (Futatsume no mado), sublime poesia per lo spirito tradotta in cinema grazie alla giapponese Naomi Kawase. Oggi in concorso a Cannes, la cineasta amatissima dai cinéphile ha sublimato i temi a lei cari in un’opera lirica che potrebbe ambire ai massimi premi – se non direttamente alla Palma d’oro – anche per la presenza a lei propizia di Jane Campion come presidente di Giuria. Insieme ad Alice Rohrwacher è l’unica donna in concorso ufficiale, e ironicamente il suo film non si distanzia di molto da Le meraviglie per sensibilità espressiva, visione di mondo ed elementi autobiografici.
L’universo della Kawase, classe 1969, risiede nell’imponenza della Natura, romanticamente intesa nell’ambivalenza di Bellezza&Paura, di attrazione fatale verso l’uomo che la sfida senza comprendere di esserne parte secondo un disegno armonico ancorché misterioso. E solo penetrando in profondità questo magma violento e divino si può percepire la “consostanzialità” di Vita&Morte: il contatto vitale con la morte è ciò che ci permette di vivere e non solo “sopravvivere”.
“La natura esige ed insegna umiltà” è il refrain di ogni suo film, questo incluso. Il racconto di Still the Water è essenziale: sull’isola subtropicale Amami-Oshima, costantemente flagellata dai tifoni, due famiglie s’incrociano grazie alla presenza dei rispettivi figli 16enni, Kaito e Kyoko. Sono reciprocamente quanto inconsciamente attratti. Kaito viene da Tokyo e si è trasferito sull’isola con la madre dopo la separazione dei genitori, Kyoko è l’unica figlia di una madre morente per malattia: lei e il padre si adoperano per rendere il trapasso della donna il più armonico possibile.
Entrambi i ragazzi subiscono un doppio trauma, che non è giusto rivelare a chi non ha visto il film, ma la portata dello shock funge loro da interruttore per accedere dall’adolescenza all’età adulta, dall’innocenza all’esperienza. Romanzo di formazione ed educazione alla Bellezza per tutti, Still the Water si riappropria dell’immaginario ancestrale degli abitanti di quell’isola, già residenza degli antenati della regista che per questo motivo ha voluto girarvi il film “di svolta per la sua vita personale e professionale”. Accanto a tale aspetto autobiografico, va rilevato che lo scorso anno Naomi Kawase ha perso l’affezionatissima madre adottiva, alla quale ha dedicato questo omaggio cinematografico. In Still the Water nulla è lasciato al caso, la macchina da presa danza tra il vento, l’impeto ondoso, la solennità notturna e accompagna i suoni e la musica dei nativi come fosse generata insieme a loro. Se la chiara metafora della natura “Sturm und Drang” indica l’irruenza dell’adolescenza, il film non indugia in ridondanze simboliche ma con sincerità profonda e senza autocompiacimento alterna l’enfasi lirico/spirituale al realismo del vissuto dei personaggi, mai eccessivi. Still the Water è questo e nient’altro: l’essenza del cinema.