Gli ordigni, caricati a bordo di un camion e di un minibus, sono scoppiati a pochi minuti di distanza l'uno dall'altro. Tra le vittime ci sono anche molte donne. Già nello scorso aprile un attentato nella capitale del paese, Abuja, aveva ucciso 120 persone
“Ci vogliono tutti morti”: un tweet di una ragazza nigeriana fotografa la nuova giornata di sangue in Nigeria con decine di morti, “in gran parte donne”, causati dall’esplosione di almeno due autobomba a Jos, Stato centrale del Paese. In un primo momento si era parlato di 46 vittime. Un numero salito fino a 118, come riporta l’agenzia nazionale per la gestione delle crisi (Nema). “Potrebbero esserci altri corpi sotto le macerie”, ha aggiunto il coordinatore dell’agenzia, Abdulsalam Mohammed.
“La gente correva ovunque, tanti erano coperti di sangue“, ha raccontato un testimone. Le esplosioni, due secondo le autorità, tre secondo fonti citate della Cnn, hanno preso di mira una stazione di taxi in una delle vie commerciali più affollate della città con un camion carico di esplosivo. Poi, in uno schema terroristico targato al Qaida già visto in Afghanistan, Iraq e Libano, un’altra esplosione, circa 20 minuti dopo, con un’auto saltata in aria poco distante nei pressi del Terminus market, mentre i soccorritori portano i primi aiuti. Terribile la scena: “I cadaveri sono carbonizzati sarà difficile riuscire a identificarli”, racconta un testimone.
“Si tratta di un episodio gravissimo, non imputabile ai conflitti etnico-religiosi” che attanagliano la regione da decenni, spiega all’Ansa Lionello Fani, un italiano della onlus Apurimac attiva in città per mitigare i contrasti locali. Jos, capitale dello Stato di Plateau, è infatti il crocevia degli scontri violenti tra pastori cristiani e musulmani. “Subito dopo l’attentato alcuni ragazzi cristiani hanno messo in piedi dei checkpoint, ma le autorità religiose stanno mediando per evitare altra violenza”, spiega Fani, da 6 anni in Nigeria.
Non sembrano esserci dubbi sulla matrice dell’attacco terroristico, riconducibile a Boko Haram, che alla vigilia di Natale del 2010 aveva colpito Jos con un attentato costato la vita a oltre 80 persone. “La preoccupazione c’era: dopo il rapimento delle 200 liceali poi convertite all’Islam e la forte pressione internazionale sul caso in molti temevano che Boko Haram potesse colpire negli Stati del centro invece che in quelli del nordest”, aggiunge Fani.
Proprio oggi il Parlamento di Abuja ha decretato il prolungamento di altri sei mesi dello stato di allerta imposto un anno fa nelle regioni calde di Yobe, Adamawa e Borno, lo stesso in cui a metà aprile sono state rapite oltre 200 liceali – sono quasi 300 quelle in mano agli integralisti, contando successivi rapimenti di ragazze nel Paese.
La Nigeria – dopo il vertice sabato a Parigi con Francois Hollande e i capi di Stato dei Paesi africani limitrofi – ha chiesto oggi ufficialmente al Consiglio di sicurezza dell’Onu di inserire Boko Haram nella lista nera del terrorismo internazionale, ma è chiaro che Abuja avrà bisogno di aiuti più concreti per far fronte ad una minaccia divenuta sempre più letale.