Nel Paese in cui le più alte cariche istituzionali si arrendono davanti a Genny ‘a carogna’, il presidente del Consiglio usa argomentazioni politiche del genere siete “rosiconi” e “menagrami”, e un europarlamentare (Zanicchi) interviene in un dibattito in radio dichiarando “vomiterei in bocca” [alla professoressa che ha consigliato agli studenti di leggere il libro della Mazzucco, ndr]; ci sta che un membro della commissione “selezionata” per l’abilitazione scientifica nazionale scriva, a conclusione di un giudizio su un candidato (ovviamente giudicato non abilitabile), “sparisca per favore” . E’ in piena sintonia con il clima surreale, inverosimilmente sfrontato e decadente del Paese.
Di fronte agli stupefacenti giudizi della commissione di Progettazione architettonica che tradiscono tutta l’arroganza e il provincialismo di certa accademia (svelatasi in tutto il suo sinistro splendore grazie alla pubblicazione in rete dei giudizi) non regge il teorema superficiale, puerile e anche irresponsabile che si tenta di far passare, che vuole che all’origine della furiosa polemica e della valanga di ricorsi non vi sia altro che il fronteggiarsi di opposte fazioni di baronati o le rivendicazioni dei trombati livorosi contro gli abilitati meritevoli. Soprattutto dopo aver letto giudizi inequivocabilmente lontani dalla scientificità e più vicini all’alta portineria, come – solo per ricordarne alcuni: “(..)I suoi interessi variano (sbandano?) tra l’architettura romana tra le due guerre, (..)”; …Pericoloso didatticamente”(..); “la candidata non è scema” (..)”; “Le pubblicazioni sono tutti articoli in “architettare” (..)
Invece di adoperarsi in oziosi esercizi di dietrologia, ci si dovrebbe responsabilmente interrogare su cosa sia diventata l’Università italiana, che ne rimane e se c’è ancora qualcosa da recuperare, a partire dal codice etico ormai andato disperso. La vicenda dei giudizi di Progettazione Architettonica fa da sfondo a una abilitazione armata alla bell’e meglio, piena di contraddizioni, lacune e deficienze, nel solco della follia tutta italiana del concorsone fiume con scadenza a orologeria.
Presso l’ANECA (Agencia Nacional de Evaluacion de la Calidad y Acreditacion) spagnola, è possibile presentare la propria candidatura per l’abilitazione scientifica in qualsiasi periodo dell’anno; non ci sono provvedimenti punitivi da “gioco dell’Oca” (se non abilitato stai fermo un giro, cioè due anni: e quale misura meritocratica garantirebbe questo assurdo provvedimento?), non ci sono macchinose mediane che i candidati devono rispettare, ma che la commissione può ignorare a sua discrezione. Dopo una prima verifica d’ufficio della compatibilità dei requisiti del candidato con quelli del bando, due commissari per ogni area scientifica tracciano un profilo del candidato, evidenziandone le competenze; successivamente sarà una commissione di dieci ordinari (contro i 5 di quella italiana) che dovrà pronunciarsi per iscritto, argomentando diffusamente e puntualmente le ragioni dell’eventuale abilitazione o meno. La Commissione, inoltre, deve far riferimento in ogni momento a un rigoroso codice etico in 10 punti, che prevede, per esempio, al punto 4 che ci si debba astenere dalla valutazione di un candidato quando con lo stesso vi si sia stata una collaborazione in prima istanza.
Forse per evitare almeno la figuraccia internazionale dell’Università italiana, sarebbe stato sufficiente l’istituzione di un codice etico per non dover (anche) leggere (increduli), tra varie altre cose, i giudizi di quel commissario, sempre di Progettazione architettonica, che ha abilitato i due candidati assieme ai quali ha pubblicato nel solo 2012 ben tre volumi, senza ritenere di dover fare menzione della particolare circostanza nei giudizi.
In un paese normale, dove le regole non le detta Genny ‘a carogna, ma un Governo che non scende a compromessi, la commissione di Progettazione architettonica sarebbe stata destituita d’imperio dal ministro dell’Istruzione.