A metà del 2009 Veronica Lario, moglie dell’imprenditore e potente politico Silvio Berlusconi scrisse una missiva nella quale stigmatizzava il comportamento del marito (aduso tra le altre cose a frequentare minorenni), iniziando così il rapido percorso che avrebbe portato al loro divorzio. Il nostro ex presidente del Consiglio, negli anni, si era già reso famoso a livello planetario per avere, per esempio, dato dal nazista ad un parlamentare verde tedesco; per il gesto delle corna dietro la nuca di un collega ministro in una foto ufficiale; per avere consigliato ad una giovane precaria di sposarsi con un uomo ricco, (magari suo figlio), per ‘sistemarsi’ e via così discorrendo lievemente, fino ad arrivare agli insulti sessisti nei confronti della cancelliera Merkel, (iniziando una moda ancora non tramontata), rea di non avere forme fisiche a lui gradite.
L’uomo politico, comunque non isolato in Italia nella visione delle donne e del loro ruolo nel mondo, sembra caduto in disgrazia, ma gli effetti di ciò che ha seminato in oltre 20 anni di dominio politico e culturale son ben saldi: prova ne è l’ultima sortita di uno dei giornali (se così vogliamo chiamarlo) di proprietà dell’imprenditore, che ha di recente pubblicato immagini di Veronica Lario, stigmatizzando nelle didascalie che la signora è invecchiata, ingrassata, e non più desiderabile.
Così come nel 2007, Lario ha scritto in risposta a quello che ha definito un ‘agguato’ alla sua privacy: quelle righe, allora come ora, vergate da una donna di certo privilegiata, toccano un problema che riguarda non solo lei e nemmeno una classe sociale, ma tutte le donne, nessuna esclusa. Il cuore del problema, sollevato da una testimone certamente scomoda, è straordinariamente attuale: stiamo parlando dell’aggressiva revanche del maschilismo, che spesso contagia anche le donne, dopo una feconda e troppo breve stagione di opposizione dei movimenti femministi, che avevano costruito e proposto modelli, linguaggi e visioni non sessisti nella relazione tra i generi. Oggi invecchiare è uno stigma, per una donna, nella nostra società esteticamente pedofila, nella quale il passaggio del tempo sui corpi e sui visi delle donne è vietato ed è un’onta, che determina esclusione.
Torna necessario, come già fece tra le altre Lorella Zanardo ne Il corpo delle donne, ricordare le parole di Anna Magnani, che al truccatore che voleva ritoccare le rughe disse: “Non me ne togliere nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele”. Oggi Veronica Lario rivendica non solo il diritto a non essere vittima di sciacallaggio per sé, ma anche per tutte: nessuna, infatti, è al riparo se vince il concetto secondo il quale se non corrispondi al canone estetico dominate sei una perdente. Nel 2009, in risposta alla lettera di Lario, brillò la reazione della deputata Pdl Melania Rizzoli (che era in prima fila all’ormai storico incontro di mille italiane con Gheddafi). Rizzoli scrisse chiamando la signora Lario non con il suo cognome, ma con quello del celebre marito, ricordandole che “lei ha sposato un uomo fuori dal comune, che ha sempre avuto quel carattere che lo contraddistingue e che è parte del suo fascino”. Rizzoli sostenne che il ‘ciarpame’ denunciato da Lario non fosse il frutto della semina sessista che ha colonizzato il paese, ma colpa sua, invitandola a lavare i panni sporchi in famiglia, come si conviene.
Oggi il tema è ancora lo stesso: un anziano uomo di potere che compra corpi giovani è invidiato e portato a esempio di successo e libertà, mentre una donna sulla sessantina che vive la sua età senza corrispondere alle tendenze ossessive di giovinezza obbligatoria è una perdente, e c’è anche chi gongola a vederla ‘così’. Forse ci vorrebbe un ripassino sugli esiti della folle rincorsa all’apparenza: consiglio di vedersi La morte ti fa bella, magari illumina.