Il ct Keshi ha un carattere forte e il presidente ha imposto il reintegro di alcuni esclusi di lusso. Il tutto in un Paese in cui il calcio è solo corruzione, violenza e scommesse clandestine
Rufai, Eguavoen, Emenalo, Oliseh, Okechukwu, Nwanu, Finidi, Okocha, Yekini, Amunike, Amokachi. In Nigeria c’è ancora chi la recita a memoria. Era la torrida estate del 1994 e due gol all’ultimo respiro di Roberto Baggio eliminavano le Super Aquile dagli ottavi del mondiale americano, senza però scalfirne il mito. Una squadra così la Nigeria, e l’Africa tutta, non ce l’ha più avuta. Nonostante questo i biancoverdi si apprestano a vivere la loro quinta Coppa del Mondo negli ultimi venti anni. Il girone è lo stesso della Bosnia, Argentina e Iran sono le altre fatiche. Difficile, non impossibile. La squadra difetta di talento, ma ha corsa e muscoli in quantità e se trova la forma da qui alla metà di giugno può stupire.
Obbliga al condizionale la presenza in rosa di numerosi giocatori reduci da infortuni e di altri che hanno visto il campo di rado durante la stagione appena conclusa. John Obi Mikel e Victor Moses hanno fatto molta panchina in Premier League, il laziale Onazi non ha ancora mostrato tutto il suo potenziale, mentre Joel Obi e Victor Obinna sono poco più che ex giocatori dell’Inter. Una definizione che comprende anche Obafemi Martins, che però in Brasile non ci sarà. Il ct Stephen Keshi lo ha snobbato, non curante delle polemiche che la scelta ha suscitato. Fosse stato per il tecnico nigeriano Oba Oba sarebbe in buona compagnia davanti alla tv: capitan Yobo, Odemwingie e Obasi, tre dei giocatori più rappresentativi del Paese, erano stati esclusi dalle convocazioni. I primi due sono rientrati di forza tra i 23 negli scorsi giorni, al termine dell’ennesima crisi diplomatica tra l’allenatore e la federazione nazionale.
Il presidente della federcalcio nigeriana ha espresso il suo disappunto per le assenze e ha imposto a Keshi di rivedere le sue decisioni. Eppure quando gli affidato il timone della squadra, nel 2011, sapeva a cosa andava incontro. Keshi era il capitano della squadra che incantò il mondo nel 1994, anche se contro l’Italia era in panchina. Il suo non è affatto un carattere semplice. Preferisce lavorare con i giovani, meglio se giocano in patria. Un litigio con Adebayor gli era costato la panchina del Togo pochi giorni prima del via dei Mondiali in Germania. L’anno scorso aveva annunciato le sue dimissioni, poi rientrate, la sera della vittoria della Coppa d’Africa. A fare discutere sono state soprattutto le sue dichiarazioni contro gli europei che siedono sulle panchine di squadre africane.
Per lui l’ex allenatore del Malawi Tom Saintfiet è “un tipo bianco che non capisce niente dell’Africa e che deve tornare in Belgio”. In quel caso se la cavò con una ramanzina da parte della Fifa. Certo, l’ambiente che lo circonda non aiuta a smussare la sua turbolenza. Nelle scorse settimane la federcalcio nigeriana gli ha staccato tre mesi di assegni anticipati per assicurarsi che tutto vada per il meglio durante l’appuntamento brasiliano. Più volte in passato Keshi ha lamentato i ritardi nei pagamenti: “Per quattro mesi di fila non ho visto lo stipendio” aveva denunciato. I calciatori, anche loro a secco di rimborsi per lunghi periodi, si sono schierati con lui. Il campionato nigeriano, poi, è una farsa.
Nell’ultima stagione i vincitori del Kano Pillars hanno collezionato 55 punti su 63 tra le mura amiche. I secondi, l’Enyimba, in casa non hanno mai perso né subito un gol. La regola vale per tutti: tra la prima e la ventesima ci sono solo 17 punti di differenza. I motivi non sono difficili da rintracciare, lo raccontò qualche tempo fa un’inchiesta del quotidiano britannico Guardian. Spesso le trasferte si trasformano in odissee con assalti al pullman e rapine. Nelle zone presidiate dai guerriglieri la tv non si avventura e allora in campo può succedere di tutto. L’arbitro è rimborsato direttamente dalla squadra di casa e può anche capitare che diriga il match con una pistola nascosta nei calzettoni. La corruzione ha raggiunto i livelli più alti a voler credere alle parole di Wilson Raj Perumal. Viene da Singapore ed è uno dei vertici della cupola del calcioscommesse mondiale. Perumal ha detto di aver aiutato la Nigeria a qualificarsi ai Mondiali del 2010 in Sud Africa. In cambio dei suoi servizi la federazione nigeriana gli avrebbe versato parte del premio per il raggiungimento della fase finale della Coppa e concesso voce in capitolo nell’organizzazione di amichevoli internazionali.