Scienza

Smart Drugs: droghe sintetiche, da Breaking Bad alla letteratura scientifica

Walter White, il chimico protagonista della serie TV Breaking Bad ha colpito l’immaginario collettivo. Da rispettabile insegnante di chimica, una volta scoperto di avere un tumore incurabile inizia a sintetizzare metamfetamina (“Meth”). Con l’aiuto del suo ex-studente Jesse Pinkman inizia a spacciarla per le strade per lasciare abbastanza soldi alla sua famiglia quando non ci sarà più. Dialoghi serrati e scienza plausibile hanno portato a questa produzione diversi premi e popolarità. Nella finzione, la richiestissima “Meth” prodotta da White è purissima e di colore azzurro. Nella realtà in New Mexico è stata recentemente immessa nel mercato da spacciatori senza scrupoli una metamfetamina colorata con un additivo blu al fine di venderla meglio, sull’onda della trasmissione televisiva. Ma come sono prodotte le droghe da strada, impropriamente definite “smart drugs”? Giovanni Appendino, chimico organico dell’università del Piemonte Orientale, ha appena pubblicato su Natural Products Reports, insieme ad Alberto Minassi e Orazio Taglialatela-Scafati, un articolo proprio sulla preparazione delle droghe sintetiche.

Si trovano davvero pochi dati scientifici sulla sintesi delle droghe da strada nella letteratura chimica “canonica”. Soprattutto, è assurdo che composti di sintesi, ottenuti degradando l’ambiente a livello di filiera produttiva e di siti locali di produzione, siano addirittura spacciati come naturali. Sul cavallo del “naturale” e dell’ecologia sono saliti dei cavalieri indegni. Nell’articolo, gli autori hanno quindi letto la letteratura canonica su questi composti nell’ottica di un loro utilizzo illegale, analizzando la logica che sta dietro la loro secolarizzazione.

Si descrive la filiera produttiva dei composti ma non procedure dettagliate. Da dove si parte in termini di precursori. Alcuni di questi composti sono di utilizzo comune, e di facile reperimento, dalle capocchie dei fiammiferi al combustibile delle lampade da campeggio. Questo non vuole ovviamente dire che si possano “fare in casa”. Anche la più classica delle reazioni della chimica “illegale”, la deossigenazione di efedrina e pseudoefedrina con la reazione di Nagai o di Birch [sintesi di Meth], è già potenzialmente pericolosa in laboratorio, dove si richiede personale specializzato nella sintesi organica. Realizzarla in casa è da pazzi, tanto quanto assumere questi composti. Su Internet ci sono miriadi di ricette “illegali”, ma basta paragonarle fra di loro per capire quanto siano differenti in termini di condizioni di reazione. Chi ha visto anche solo la più semplice delle reazioni della chimica organica sa quanto questi fattori siano critici per la riuscita di una reazione e la sua conduzione in sicurezza. Il “qb” (quanto basta) fa parte della cucina, non della chimica, dove le ricette vanno prese alla lettera e non personalizzate secondo i “gusti” dell’operatore. Nel caso della cucina, si rischia il gusto. Qui la vita. Di chi prepara o assume.

Le droghe illegali girano per la rete informatica, e il loro numero è difficile da quantificare. Sono sicuramente centinaia. Mentre per le droghe illegali classiche (eroina, cocaina, marijuana) esistono informazioni su tossicità e antidoti, per questi composti non si sa nulla, e potrebbero davvero indurre le reazioni più impensabili.

Insomma, un articolo che mette assieme le conoscenze attuali sulle sostanze illegali tramite dati scientifici, che potrebbe diventare un riferimento base non certo per chi vorrebbe produrre queste sostanze, ma per chi desidera informarsi ed eventualmente contrastarne il loro utilizzo.

Dal punto di vista morale l’utilizzo di sostanze psicotrope può essere definito ripugnante. Interferiscono con le principali motivazioni dell’esistenza: socializzare, amare, nutrirsi. Tutta la complessità e la bellezza della vita si riduce ad una polverina. Non è neppure necessario citarne i danni alla salute. Quelli allo spirito sono più che sufficienti per starne alla larga.

Questo articolo è stato scritto in collaborazione con il Prof. Giovanni Appendino, Università Piemonte Orientale.