Ieri la ministra Giannini si è detta sicura nel voler superare il sistema dei test d’ingresso alle facoltà a numero chiuso. L’obiettivo è quello di adottare il sistema francese, sistema che vede una strettoia per gli studenti solo dopo il primo anno di università.
Numerosissime erano state le mobilitazioni negli ultimi mesi contro i test d’ingresso e il loro anticipo al mese di aprile. Centinaia erano state le lettere di aspiranti medici giunte al ministero per protestare contro un sistema che non lascia scampo a chi fallisce il test a crocette. Inoltre da tantissime parti era giunto un grido di allarme per lo stato di salute del sistema sanitario nazionale che, secondo le previsioni, giungerà al collasso entro il 2020 per mancanza di medici ed infermieri.
Senz’altro valutare lo studente in base al percorso compiuto in un anno è più giusto rispetto al compiere una valutazione su un test a crocette che determina l’intero futuro percorso di studi di uno studente, però il problema resta un altro.
Il punto è che il numero chiuso (o il sistema francese) legittima l’università dei tagli e deciderne la modifica dall’alto è solo un atto d’imperio e non di democrazia. Oggi servirebbe costruire un ampio luogo di confronto con le componenti studentesche e accademiche in generale.
Più che parlare di come escludere gli studenti dall’università dovremmo discutere di come includerli, di come garantire un diritto individuale che è stato smantellato con i tagli, l’aumento delle tasse, la riduzione del diritto allo studio. Discutiamo di come riqualificare la didattica, non riducendo il numero di studenti ma aumentando quello dei docenti, costruendo laboratori, disintasando le aule sempre piene per colpa del blocco del turn over (siamo uno dei paesi con docenti più anziani del mondo).
Il nostro Paese è stato bravissimo a promuovere i tagli nell’istruzione, nella salute e nelle politiche di welfare ma è stato incapace di utilizzare i Fondi Sociali Europei che arrivavano da Bruxelles per sostenere le politiche di inclusione sociale. Forse, ad una settimana dalle elezioni europee, sarebbe il caso di discutere di come ripensare gli insensati vincoli di bilancio e come invece tendere al raggiungimento di quegli obiettivi di Europa 2020 che l’Italia ha eluso e l’Europa dimenticato: riduzione degli abbandoni scolastici, aumento del numero di laureati, maggiori investimenti in ricerca.
Che sia all’italiana o alla francese, un sistema di esclusione punta verso una società retta sui privilegi dei pochi e non sui diritti per tutti, che guarda al merito e non alle capacità. A vent’anni dall’avvio di queste politiche è giunto il momento di accettarne il loro fallimento.