La Commissione Europea prevede che dal prossimo autunno nel calcolo del prodotto interno debbano rientrare anche le transazioni illecite. Per esempio multe, spaccio di droga, ricettazione, contrabbando, prostituzione. Qualcuno polemizza, ma la novità potrebbe far crescere il PIl italiano di decine di miliardi
C’è una piega nascosta nel nuovo sistema di calcolo del Prodotto interno lordo europeo e degli Stati membri dell’Unione, il famigerato Esa (European system of national and regional accounts) 2010, ampiamente raccontato con dovere qualche settimana fa e che entrerà in vigore dal prossimo autunno, come ricordato dall’Istat. Bruxelles infatti ha deciso di dare una svecchiata al metodo di stima della produzione nazionale per tener conto del nuovo contesto economico, della globalizzazione e del crescente peso delle attività intangibili (per esempio i brevetti) sulla ricchezza degli Stati. Ma non è tutto. Perché uno degli aspetti più discutibili si trova in una nota di pagina 15 del massiccio volume dell’Eurostat, intitolata “Borderline cases”. E già il titolo è tutto un programma. In questo breve paragrafo la Commissione Europea sente infatti la necessità di chiarire il significato di “transazione”, vale a dire quel tipo di interazione che interessa il calcolo del Pil. Ebbene, con tale definizione si indica qualsiasi azione economica che implichi un mutuo accordo tra le parti, indipendentemente dalla natura – lecita o illecita – e dai soggetti – privati o istituzionali – dell’operazione messa in atto.
Questo vuol dire, specifica il documento, che le multe e le sanzioni sono considerate transazioni e vanno a incremento del Pil perché si fondano su un pregresso mutuo accordo – un contratto implicito – tra l’istituzione e il cittadino (o in generale il soggetto economico) che sottostà alla legge del territorio. Allo stesso modo la Commissione Europea prescrive, esplicitamente e a scanso di equivoci, di considerare come transazioni anche le azioni economiche illegali come l’acquisto, la vendita e lo scambio di droghe o di beni rubati, il contrabbando e la prostituzione. Mentre non va considerato il furto in sé, in quanto chiaramente non si fonda sul consenso reciproco. Considerato che, secondo il Procuratore nazionale antimafia, il fatturato dello spaccio di droga vale quasi 25 miliardi di giro d’affari, mentre quello della prostituzione ne vale almeno 10, è facile rendersi conto che il nostro Pil – anche al netto dei problemi di rilevazione di questi fenomeni – potrebbe ricevere una bella spinta. Tanto più che il prossimo anno, hanno calcolato gli operatori del sociale, l’Expo attirerà a Milano almeno 15mila ragazze più o meno sfruttate dal racket. Uno studio di alcuni economisti, pubblicato l’anno scorso nella collana Temi di discussione di Bankitalia, si spinge a stimare nel 12,6% del Pil (il dato si riferisce al 2008) il peso dell’economia criminale.
L’innovazione, insomma, ha il sapore di una rivoluzione (anche se François Lequiller, director national accounts di Eurostat, rifiuta questa definizione e parla invece di “necessario adattamento”). E alcuni Paesi europei si sono già allineati. È stata la Spagna, per prima, a fare i suoi conti autonomamente senza attendere le disposizioni di Bruxelles. E le sue stime parlano di circa 10 miliardi di euro in più da aggiungere al Pil iberico. Mentre poche settimane fa è stato il turno della Polonia: Varsavia valuta almeno un punto percentuale da aggiungere al calcolo del Pil in essere finora. Il tema è controverso: da una parte c’è chi ritiene che sia necessaria un’armonizzazione a causa del diverso profilo di legalità di tali attività nel perimetro della Ue (si pensi ai Paesi Bassi per quanto riguarda le droghe, ad esempio), dall’altra c’è chi sostiene che in questa maniera lo Stato certifica il proprio fallimento. Offrendo inoltre il fianco, con una norma così disegnata, a interpretazioni politicamente scorrette.
Angel Laborda Peralta, uno dei più noti economisti spagnoli e direttore della Fondazione delle Casse di Risparmio (Funcas), ha detto, provocando ma non troppo, che sic stantibus rebus dovrebbe essere incluso nel calcolo del Pil anche il traffico di esseri umani, in quanto comporta una transazione – azione economica – tra parti consenzienti (venditore e compratore, mentre l’essere umano trafficato è solo oggetto dello scambio). Vale la piena chiedersi se anche la corruzione possa essere inclusa nella nuova valutazione del Pil. Si tratta senza dubbio di una delle “eccellenze” del nostro Paese: secondo i calcoli di Unimpresa – che a seguito degli ultimi scandali legati a Expo ha riproposto l’allarme sul tema – tale fenomeno criminale ha sottratto 10 miliardi di euro l’anno negli ultimi dieci anni, per un totale di 100 miliardi di euro. A rigor di logica, se si considerasse la corruzione come uno scambio di mercato (un servizio a fronte di denaro?) con i nuovi sistemi di calcolo del Pil questa cifra non verrebbe persa. Il boom per la nostra economia sarebbe di quelli importanti, almeno sulla carta. Una buona notizia? Chissà. I costi della corruzione (ma in generale delle pratiche illegali) non sono solo economici e spesso non sono direttamente imputabili a bilancio. Un breve documento di Riparte il futuro (campagna contro la corruzione promossa da Libera e Gruppo Abele) lo spiega con grande chiarezza, citando tra gli altri l’allontanamento degli investimenti stranieri, il rallentamento dell’innovazione e della ricerca, l’esclusione delle forze sane del mercato. Chissà se il prossimo 13 e 14 giugno, quando in Lussemburgo si terrà un importante consesso dell’Eurostat dove saranno discussi i nuovi sistemi di calcolo, discuteranno anche di questo.