Chi deciderà davvero il nuovo presidente della Commissione europea? I leader dei gruppi e partiti politici europei non hanno dubbi: sarà uno dei cinque candidati che si sono affrontati nei dibattiti pubblici di maggio. Ma Herman Van Rompuy ha recentemente detto che il nuovo numero uno dell’esecutivo comunitario potrebbe essere un “outsider”. Tutto dipenderà dall’esito delle elezioni europee del 22-25 maggio. Una cosa è sicura: la decisione finale sarà presa a tavola.
Per la prima volta nella storia delle elezioni europee, i partiti politici europei hanno presentato un loro candidato: Martin Schulz (socialisti), Jean-Claude Juncker (popolari), Guy Verhofstadt (liberali), Alexis Tsipras (sinistra), Ska Keller e José Bové (verdi). In teoria il nuovo presidente della Commissione europea dovrebbe essere il candidato della famiglia politica che vince le elezioni a livello europeo, quindi o Schulz o Juncker – ad oggi i popolari sono dati in vantaggio di tre seggi. Ecco che, nel tentativo di coinvolgere l’elettore europeo in una campagna transnazionale, sono stati organizzati vari dibattiti pubblici, l’ultimo lo scorso 15 maggio a Bruxelles.
Ma siamo proprio sicuri che a sedersi sulla poltrona più importante del Berlaymont (l’edificio principale della Commissione) sia uno di loro? I trattati Ue parlano chiaro: a nominare il presidente della Commissione è il Consiglio europeo (riunione dei capi di Stato e di Governo) che deve tenere in considerazione l’esito delle elezioni. Successivamente il Parlamento europeo approva o meno il nome proposto. Insomma, nessun obbligo esplicito, ma solo un’indicazione di metodo.
Ed è proprio sul “metodo” che a Bruxelles si profila uno scontro istituzionale. I capi di Stato sanno benissimo che nominare una persona che non sia uno dei cinque candidati sarebbe un sonoro schiaffo al Parlamento europeo. Ecco che per loro è fondamentale essere i primi a puntare il dito sul vincitore. E visto che certe decisioni è meglio prenderle a stomaco pieno, è stata convocata “una cena informale” a Bruxelles la sera di martedì 27 maggio.
Ma il Parlamento europeo non ci sta a farsi bruciare sul tempo. Ecco che per ribadire il suo ruolo centrale nell’intera procedura di nomina e dare un segnale in vista della prossima legislatura – all’insegna del solito braccio di ferro tra metodo comunitario e intergovernativo – ha risposto convocando un incontro eccezionale tra i presidenti dei gruppi politici, sempre a Bruxelles e sempre a tavola, con un “pranzo informale” concordato per lo stesso giorno.
A cena la padrona di casa simbolica è Angela Merkel. “Occorreranno alcune settimane per prendere le decisioni necessarie”, ha detto recentemente la Cancelliera, con il chiaro intento di frenare la spinta presidenzialista del duo Juncker-Schulz e riaffermare la supremazia dei governi nazionali – i principali mandanti dell’austerity europea. “Cercheremo di fare di tutto per rispettare il voto degli elettori ma ci sono una serie di questioni da chiarire”, ha poi aggiunto. Il presidente del Consiglio europeo, il belga Herman Van Rompuy, si è spinto addirittura oltre ipotizzando, durante un dibattito alla tv fiamminga Vrt, che a salire alla Ce possa essere “un outsider”. Tra i nomi che circolano a Bruxelles, la direttrice del Fmi Christine Lagarde, la premier danese Helle Thornig-Schmidt e il finlandese Jyrki Katainen.
Eppure Schulz e Juncker lo hanno detto a più riprese e a chiare lettere: qualsiasi nome al di fuori della rosa dei cinque candidati sarà rigettato dal Parlamento europeo nella seconda plenaria di luglio. Insomma, sia il pranzo che la cena del 27 si preannunciano tutt’altro che frugali.