Incontrare Don Maurizio Patriciello è un dono. E’ una mattina come tante e a Caivano, tutto tace. Le sue case colorate con la biancheria stesa, qualche motorino per strada, qualche bimbo che gioca sul terrazzo al settimo piano con le sue macchinine. Arrivo con un mio collega giornalista nella sua chiesa e scorgo la sua figura nella sacrestia adiacente all’altare mentre rovista fogli. Mi accoglie sorridendo mostrandomi una cartolina: bionda, occhi azzurri avrà circa due anni : “Lei è una delle bimbe che ci ha lasciato. Quanto è bella? Che occhi gioiosi ha?” mi domanda Don Maurizio. Avrei preferito un approccio meno emotivo, mi si chiude lo stomaco, deve ancora iniziare l’intervista e già trattenere le lacrime non è facile.
Mi torna alla mente l’articolo 32 della Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Tra me e me penso: “Vallo a dire a chi ha perso il proprio figlio. Vai a dirlo a Tina che si è vista morire il piccolo tra le sue braccia per un tumore alla testa, oppure ad Anna che ha perso il suo bimbo di 22 mesi per una leucemia diagnosticata al sesto mese di vita”. Unica colpa loro è quella di essere nati in una terra violentata, stuprata, per anni dimenticata. Dimenticata da quelle Istituzioni che sapevano e che non hanno fatto nulla. E’ del 1998 la dichiarazione del boss Carmine Schiavone che indicava esattamente i luoghi dove venivano sepolti i rifiuti tossici e dichiarava profeticamente: “Tra venti anni, qui, moriranno tutti di cancro”.
Solo oggi il dramma della Campania è il dramma di tutti noi. E allora ti accorgi che l’allarme rifiuti tossici non è solo una questione campana: Salento, Veneto, Trentino… La nostra bell’Italia usata come grande discarica dalla malavita.
Ci sediamo nei banchi della chiesa io e Don Maurizio, e lo intervisto guardando l’altare. Ogni tanto le sue affermazioni finiscono mentre lui guardando la croce afferma “Signore perdonaci” o “Signore aiutaci tu”. Un prete in prima linea che denuncia il male delle sue terre, una terra dove si muore di cancro e leucemia “Questa è la nostra terra” ripete continuamente. Lui è nato lì e nelle sue parole capisci quanto è legato visceralmente al suo territorio. Era felice Don Maurizio, perché dopo tanti funerali in settimana avrebbe celebrato un matrimonio, finalmente. Attimi di felicità. Attimi di normalità, laddove si muore. Laddove non si sceglie di morire, e si muore ugualmente, a tutte le età.
“Sono felice di poter portare le mie parole in giro per l’Italia: mi aspettano Bologna e Vicenza prossimamente. Era impensabile fino a qualche anno fa solo pensare di parlare della terra dei fuochi fuori dal nostro territorio, ci avrebbero presi per pazzi”. E’ un fiume in piena. Mi parla delle madri, dell’iniziativa delle cartoline, delle Istituzioni che ci sono e non ci sono. “Mennillo Valentina nata morta, Bonomo Francesco nato morto, Viscardi Sara nata morta, De Cicco Fatima nata morta, Melo Pasquale nato morto, Romano Francesco nato morto etc…”L’elenco è lungo, troppo lungo. E’ una guerra, senza armi.
“Ci viene quasi un senso di vergogna a nominare la parola cancro, parliamo di quella brutta malattia“. Si prendono le distanze dalle parole cancro, tumore, leucemia. Difficile rimanere indifferenti dinnanzi a queste storie che sembrano la trama di un film drammatico. Ma qui di drammatico c’è il vivere: quel vivere che non da speranze e che ogni giorno è una scommessa. Tutti hanno qualcuno che ha un parente, un amico, un conoscente che è malato. “Che futuro hanno i giovani qui?”. Mi guarda con gli occhi pieni di speranza Don Maurizio, io abbasso lo sguardo come quando ti vergogni, come quando non hai risposte, come quando qualcuno ti fa una domanda scomoda. Non gli so rispondere. Gli domando: “Cosa possiamo fare?”. “Continuiamo a denunciare” – mi risponde -andiamo avanti”.
Andremo avanti per far si che ora che quel barlume di luce che sta illuminando queste terre non si spenga. Facciamolo per chi non c’è più, per chi lotta per vivere, per chi ha la speranza che qualcosa cambi, perché ricordiamoci che quella terra, è la nostra terra.
Lo lascio tra lacrime. Immortalo con un selfie questo incontro. Sulle nostre labbra un piccolo accenno di sorriso, ché la speranza e l’ottimismo sono gli ingredienti fondamentali in questa battaglia, e almeno loro, cerchiamo di non farli morire. Per non arrendersi. Mai.