Giannini propone il modello francese, che prevede ingresso libero e selezione dura dopo il primo anno. Gli atenei alzano il muro: "Problemi logistici e di numero di docenti". Ma anche la didattica è differente
Abolire i test d’ingresso a medicina? “Le università italiane non sono pronte, sarebbe il caos”. Giuseppe Paolisso, professore ordinario e preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Seconda Università degli Studi di Napoli, non ha dubbi su quelli che potrebbero essere gli effetti neanche troppo collaterali della rivoluzione annunciata ieri dal ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. “Ci sembra soprattutto una trovata ad effetto, che non tiene conto delle problematiche reali. Se in Francia i test non ci sono e il sistema funziona è perché loro sono abituati così da anni. Cambiare tutto in pochi mesi è folle”, aggiunge.
Già, la Francia. Il ministro Giannini ha citato i cugini transalpini come modello da imitare. Lì la facoltà di medicina ha un funzionamento completamente diverso dal nostro. Non c’è selezione in ingresso, niente quiz, niente crocette: tutti possono iscriversi a Medicina. Il numero chiuso, però, non è eliminato, solo posticipato: si chiama, in latino, “numerus clausus”ed è una spietata tagliola che interviene alla fine del primo anno di corso. Al termine di questo, tutti gli studenti devono sostenere una prova complessiva, molto dura e basata su temi specifici affrontati a lezione. Solo il 20-30% dei candidati la supera. Di fatto si tratta di un vero e proprio concorso, che prevede una graduatoria e un numero limitato di posti da assegnare.
Nel 2012-2013, ad esempio, a livello nazionale erano state aperte 7.492 posizioni (meno delle 10.500 circa dell’ultimo bando italiano). Chi rientra nelle posizioni utili è ammesso al secondo anno e al prosieguo del corso. Chi supera il punteggio minimo (10/20) senza risultare vincitore può, se vuole, iscriversi subito al secondo anno di Biologia, senza aspettare. I bocciati, invece, possono ritentare il concorso solo un’altra volta, poi per loro le porte di Medicina si chiudono definitivamente.
Questo è il sistema che, magari con qualche aggiustamento, si vorrebbe importare in Italia. Ma se l’idea del Ministero è subito piaciuta alle associazioni studentesche (che da anni chiedono l’abolizione dei test d’ingresso, anche se in Francia il concorso come visto è solo posticipato), lo stesso non si può dire per le Università. Preoccupatissime di ritrovarsi invase di studenti a partire dal 2015 (quando entrerebbe in vigore il nuovo metodo). “Dire che siamo critici è un elegante eufemismo. Ci sarebbero seri problemi organizzativi, di natura logistica e funzionale”, afferma il professor Paolisso. “Le facoltà italiane sono attrezzate per ospitare un numero contingentato di iscritti, in base alle aule a disposizione, le strutture ospedaliere, il rispetto del rapporto studenti/docenti”, spiega. “A Napoli, ad esempio, siamo tarati per un numero di 440 studenti. Se dovessero diventare all’improvviso mille o duemila il sistema andrebbe sicuramente in tilt”.
Il ministro sostiene che a Medicina “si iscriverebbero solo i più motivati”, e che comunque “il problema si risolve a valle, non a monte”. Ma la previsione di Giannini sembra ottimistica: almeno all’inizio, in attesa di verificare l’effettiva durezza della selezione, gli studenti di medicina aumenterebbero in maniera esponenziale. Poi ci sono altri aspetti da approfondire. La didattica, innanzitutto: anche per i docenti diventerebbe difficile sostenere un carico di insegnamento (e di valutazione) moltiplicato. E ancora: “Bisogna stabilire soglie e parametri per il superamento del primo anno. Sciogliere il nodo dei possibili trasferimenti, da altre sedi o altre facoltà. Tutte variabili che non ci sembra siano state prese in considerazione”, aggiunge Paolisso. “Il Ministro ha lanciato questa idea senza consultare nessuno”.
E infine non bisogna dimenticare il merito della questione. Lo sbarramento posticipato è davvero meglio dei test d’ingresso? In Italia, attualmente, al primo anno si insegnano soprattutto scienze di base. “Il profitto in queste materie teoriche non valuta da solo il bravo medico”, spiegano i docenti. “Nessuno di noi ha mai pensato che i quiz siano l’ideale. Rispetto a certe prospettive, però, probabilmente sono il male minore”, afferma Paolisso. “Si può anche decidere di passare al sistema francese. Ma oggi non abbiamo aule, professori, risorse. Per farlo ci vogliono anni, regole precise e investimenti importanti. Altrimenti per le facoltà di medicina la situazione potrà solo peggiorare. E anche per gli studenti”.