La sensazione di “vivere sempre in direzione ostinata e contraria” rispetto agli altri, un incontro importante e il desiderio di essere utile: gli elementi per cambiare vita c’erano tutti. E così, Barbara Pascali, oggi 39 anni, nel 2006 decide di fare il grande passo e di trasferirsi in Brasile. “Vivevo a Milano, dove lavoravo in ambito finanziario. Ma ero insoddisfatta di una società che consideravo troppo consumistica ed egoista – racconta – il mio sogno era quello di lavorare nel non profit: ci ho provato, ho mandato decine di curricula, ma la risposta è sempre stata negativa”. Poi, durante un viaggio in Brasile, conosce Barbara Olivi, fondatrice della onlus italo-brasiliana di Rio de Janeiro Il sorriso dei miei bimbi che lavora per creare migliori condizioni socio-educative all’interno di Rocinha, una delle favelas più popolose del Sud America.
“Mi sono innamorata del progetto, sono tornata in Italia per un anno come volontaria per preparare la mia partenza e poi ho fatto il biglietto aereo”. Solo che il destino ci mette lo zampino: il biglietto aereo non è più singolo, ma i ticket diventano tre: “Nel frattempo mi sono innamorata e ho avuto una bambina, India”. La nascita della sua primogenita non la spinge a cambiare i propri piani, anzi, “è stata proprio ciò che mi ha convinta: non volevo che mia figlia crescesse ‘in mezzo al cemento’, con i valori con cui sono cresciuta io negli anni ‘80 nella ‘Milano da bere’”. Quindi il trasferimento: non a Rio, ma a sud dello stato di Bahia, dove inizia il lavoro con l’organizzazione, della quale oggi è codirettrice, e per la quale lavora come responsabile comunicazione e web. “Io faccio avanti e indietro per seguire le numerose attività, qui a Bahia – spiega – abbiamo un progetto di professionalizzazione giovanile, mentre a Rocinha, tra le altre cose, stiamo aprendo il primo caffè letterario della favela, un luogo di inclusione sociale, il Garagem das letras’”.
Barbara è sicura: “Più vedevo mia figlia crescere negli agi, più pensavo che si dovesse fare qualcosa anche per questi bambini”. Nessun rimpianto o preoccupazione per ciò che verrà dopo: “Se per futuro si intende un buon impiego a tempo indeterminato ‘con la cravatta’, allora forse mia figlia avrà perso qualcosa, per il momento vive a contatto con la natura, in un contesto dove conosce persone ricchissime e poverissime e parla quattro lingue. Il suo futuro sarà quello che lei stessa vorrà disegnarsi”.
La sua è una storia in controtendenza: “Siamo andati via dall’Italia in un periodo in cui la crisi non era ancora così acuta e abbiamo lasciato due lavori fissi. Partendo da Milano, infatti, non cercavamo un lavoro più remunerativo, piuttosto uno che rispecchiasse i valori in cui crediamo. Oggi guadagno un decimo rispetto a prima, ma la mia felicità è centuplicata. Non vorrei disegnarmi come una hippie, perché non lo sono, ma credo che sia importante capire cosa si cerca nella vita: io sono più serena, anche nel rapporto con mia figlia e mio marito, che qui, dopo aver lavorato nel turismo e come fotografo, si è inventato un’altra occupazione”.
Certo, vivere in Brasile non è sempre facile: “E’ un Paese di contraddizioni dove primo, secondo e terzo mondo convivono. A Rocinha, poi, la situazione è ancora più complessa. Non ci sono infrastrutture, sanità, educazione. La ‘pacificazione’, dopo oltre 40 anni di potere parallelo del narcotraffico doveva essere l’inizio di una trasformazione: l’ingresso dello Stato dove non esisteva. Poi è rimasta solo la Upp, la Unidade de Policia Pacificadora, e il resto è rimasto uguale. Ora il narcotraffico sta rialzando la testa. Siamo preoccupati, perché quando si spegneranno i riflettori della stampa internazionale, che ora si interessa per via dei Mondiali e delle Olimpiadi, la situazione potrebbe peggiorare”.
Rocinha, però, è anche un luogo sul quale ci sono dei pregiudizi: la popolazione non è costituita solo da criminali e narcotrafficanti, “anzi, questi sono l’1 per cento della popolazione. Per il resto ci sono i lavoratori delle fasce più basse”. Ma, soprattutto, la favela è un sentimento: “C’è un cartello quasi all’ingresso dove si legge: ‘Il pericolo sarà che non vorrai più uscire’, ed è vero. Rocinha si ama o si odia. Io l’ho amata”.