Addio sublimi barolesche e barbaresche Langhe, il Giro si sposta in quel del Canavese, dove pur alligna dignitoso Nebbiolo e un poco diffuso Canavese rosso, come la maglia del più rapido corridore del gruppo, il francese Nacer Bouhanni: il Giro parla ancora piemontese, intanto è ormai ai piedi delle salite che ogni giorno possono diventare redde rationem. Si comincia col pellegrinaggio al santuario di Oropa – clou della quattordicesima tappa di sabato 24 maggio, il Piave della corsa rosa. Si santificherà ancora una volta la memoria di Marco Pantani, e si dimenticherà ancora una volta Gino Bartali. In attesa, ci hanno propinato una tappa non lunga per accontentare i velocisti, prima di mazzolarli con le salite.
Macché. I velocisti hanno toppato. E’ successo che ce l’ha fatta – è la prima volta – chi ha tentato l’ennesima fuga. Sei giovanotti di buona gamba che pensavano di andare ad un ineluttabile sacrificio, visti i precedenti: il colombiano Jeffry Johan Romero Corredor, il belga Gert Dockx, il russo Maxim Belkov, il francese Angelo Tulik, il venezuelano Jackson Rodriguez e l’italiano Marco Canola. Ma dietro, le squadre degli sprinter hanno traccheggiato, ed aspettato troppo gli ultimi chilometri. E’ l’autostima eccessiva dei velocisti, quelli che dicono di chi scappa “ce li mangiamo in un boccone”…e tuttavia, l’andatura non è feroce come nei giorni scorsi, inoltre la tappa è breve.
Davanti i sei vedono che il loro vantaggio rimane costante. Sarà la mia impressione, ma dietro le squadre degli sprinter si marcano eccessivamente: magari per far dispetto al più forte ed imbattibile Bouhanni. In più, ha grandinato. Non sul gruppo, ma sul percorso della tappa. Dunque, un pizzico di prudenza: le cadute hanno provocato il ritiro sinora di 24 “girini”. Fatto sta che Canola&company si avvicinano al traguardo con un vantaggio sufficiente a grandi speranze. Sentono profumo di vittoria. Come si usa dire nella parrocchia del ciclismo, “viene premiata la fuga”. Li aiuta non poco il tracciato pieno di curve: sui rettilinei se il gruppo intravede i fuggitivi, è la morte loro. Nemmeno il sussulto d’orgoglio degli uomini jet serve a qualcosa. Rimonta fallita. Fine dei giochi. Nel frattempo i sei erano rimasti in tre, grazie ad una squassante sollecitazione di Canola che tirava come un mulo e metteva in crisi metà del gruppetto.
Corredor era il primo a staccarsi. Poi toccava a Belkov e Dockx. Bravo Canola, aiutato pure dal vento dei temporali che hanno spazzato i monti a nord di Rivarolo Canavese. Con la strada in leggera discesa, e il vento in poppa, a cinque chilometri dall’arrivo Canola si è messo in posizione centrale e ha cominciato a sparare progressioni sul filo dei sessanta chilometri l’ora. In gran spolvero, il vicentino Canola, baldo venticinquenne che all’ultima Tirreno Adriatico ha vinto la classifica degli scalatori, resiste alla chiusura di Rodriguez che voleva stringerlo contro le transenne di destra, anzi, replica obbligandolo ad allargare sulla sinistra. Si crea un varco, lo trapana, e vince di potenza. Dirà: “Non è che ci credevo tanto…, poi mi sono reso conto che il gruppo non rientrava e ho spinto più che potevo. Alla fine ho avuto ragione”. Alle spalle, il gruppo è allargato a ventaglio. Staccato di undici secondi: la volata dei battuti premia ancora una volta Bouhanni che alla crono da Barbaresco a Barolo era stato l’ultimo. Questo giovanotto lungagnone e ciarliero – il suo cognome si pronuncia Cànola – è veloce, passista, scalatore, “vado in tutto…piano”, scherza, dedica il successo “a mio papà”, piglia fiato ed aggiunge, ma passa qualche secondo, “e a mia mamma, alla mia fidanzata, alla mia famiglia e a tutti quelli che mi hanno seguito”. E’ lesto a parole come in bicicletta. A proposito, che cosa significa per te la bicicletta? “Il mio mestiere”, replica pronto. E’ infatti un corridore professionista. Ma aggiunge subito: “Sappiamo che cosa vuole dire anche…sofferenza…e poi, soprattutto, la bicicletta è poetica”. Giuro. Ha detto proprio così: “E’ poetica”.