Il Fatto ha cercato di svolgere questo compito nonostante il disinteresse dei grandi quotidiani. Siamo abituati e ormai anche un po’ affezionati a questa solitudine. Non è questa la notizia. La vera novità è che il presidente del Consiglio ha accettato di rendere conto. Prima si è sottoposto alle nostre domande, poi ha letto i nostri pezzi e infine, dopo una riflessione in famiglia con il padre Tiziano, ha accolto la nostra richiesta di dimissioni. Renzi ha detto nell’intervista pubblicata integralmente sul nostro sito: “Ho fatto una cosa che mi costa, anche se è solo un atto di attenzione, perché non è un fatto giudiziario”.
Vero. Renzi ha rinunciato a un vantaggio economico che, pur non essendo illecito, era ingiusto. Il premier aveva sfruttato dal 2004 al 2014 una norma che permette a un politico locale di farsi assumere dall’azienda di famiglia poco prima della candidatura, per poi ottenere i contributi pensionistici. Grazie ai versamenti di Provincia e Comune ha accumulato l’anzianità e un tfr di circa 40 mila euro. Una volta eletto in Parlamento, a fine carriera, avrebbe potuto addirittura cumulare la pensione da dirigente in aspettativa con il vitalizio parlamentare. Per questo gli avevamo chiesto di dimettersi e Renzi lo ha fatto un mese fa. Un gesto che gli fa onore e che non era scontato. Non solo perché non c’era nessuna indagine, ma perché i grandi quotidiani non hanno mai ripreso le nostre notizie. Nessuno avrebbe mai incalzato Renzi sul suo piccolo privilegio pensionistico e il premier avrebbe potuto ignorare il nostro articolo senza alcun danno elettorale. Chissà se i grandi giornali daranno la notizia del bel gesto. Sarà divertente vedere come spiegheranno il periodo di aspettativa. Non quella di Renzi, ma la loro nel dare la notizia.