La prossima settimana Ispra pubblicherà i criteri per individuare l’area che entro il 2025 dovrà custodire 90mila metri cubi di rifiuti radioattivi. Il documento in realtà è pronto da tre mesi ma è rimasto nel cassetto. In un audio che ilfattoquotidiano.it pubblica, il presidente di Sogin spiega che la ragione è tutta politica: deputati e senatori preferiscono aspettare il voto. Nel 2003 Berlusconi fu costretto dalle rivolte a cancellare il deposito a Scanzano Jonico
Il fantasma del cimitero nucleare aleggia sull’Italia. Inizierà a materializzarsi presto, ma solo a urne chiuse. Basta il nome, del resto, a far paura alla gente. “Deposito unico delle scorie radioattive”, così si chiama il luogo che, entro una decina d’anni, dovrà custodire 90mila metri cubi di scorie radioattive oggi disseminati in 23 depositi temporanei. Lo prevede una legge del 2010, ma dopo tre anni non si è ancora deciso dove sorgerà, né come sarà. In verità dal 28 febbraio scorso l’Ispra ha messo a punto i criteri per individuare la località più adatta, suo malgrado, a ospitare il sito grande come un campo da calcio, alto come un palazzo di cinque piani, che nessuno vorrebbe sul suo territorio. Puglia, Basilicata, Lazio o Toscana, quali sono le aree più idonee? Impossibile fare ipotesi, perché le indicazioni dell’ente sono rimaste nel cassetto per quasi tre mesi. E a quanto pare, per motivi politico-elettorali.
A sostenerlo è il neopresidente di Sogin, la società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi candidata a realizzare il “sarcofago nucleare”. A margine della visita dei parlamentari al sito di Latina, lo scorso 14 aprile, Giuseppe Zollino aveva confidato di essere pronto a scommettere che il documento non sarebbe stato divulgato prima delle elezioni. In un audio in possesso di ilfattoquotidiano.it, Zollino ammette che “lo sanno in troppi che è pronto, e nascondersi dietro un dito è imbarazzante”. Ce l’ha l’Enea, l’Invg, il Cnr, Sogin… “come fa il governo a dire che non è pronto?”. Alla domanda specifica, se c’è un motivo per non pubblicarlo, risponde che “no, non c’è assolutamente, ma deputati e senatori ti dicono che così si spacca il partito, che adesso andiamo a elezioni… che in fondo sono passati 40 anni e anche se passano altri due mesi…”.
Il ritardo, al di là delle motivazioni ufficiali, sarebbe dovuto dunque alla volontà di evitare l’innesco di una roulette russa potenzialmente devastante in campagna elettorale, foriera di timori e proteste analoghi a quelli che nel 2003 costrinsero Berlusconi a cancellare il decreto che individuava Scanzano Jonico come sede del deposito nazionale. Meglio non rischiare, meglio rimandare tutto a dopo le europee. E infatti Ispra, conformandosi alle indicazioni impartite del ministero dello Sviluppo economico, si è guardata bene dal pubblicare il dossier.
A niente, per altro, sono valse le sollecitazioni fatte in pubblico dai vari ministri dell’Ambiente che si sono succeduti, Orlando e l’attuale Galletti, che avevano dato l’assenso alla pubblicazione che, assicura Ispra, avverrà a breve “probabilmente settimana prossima”, a urne ormai chiuse, dunque. La questione è destinata ad avere ulteriori risvolti politici perché sarà oggetto di un’interpellanza urgente dei Cinque Stelle, insieme alla richiesta di chiarimenti sugli appalti affidati da Sogin alla Maltauro, l’impresa finita al centro dell’inchiesta milanese su Expo.
La pubblicazione dei criteri Ispra, del resto, non è un orpello: oltre a stringere sulle destinazioni papabili, come disposto dal dl 31/2010, segna l’avvio della fase operativa del progetto che nei sette mesi successivi dovrebbe portare a individuare la località, in quattro anni all’autorizzazione e quindi all’inizio lavori che terminerebbero nel 2025. Quel documento, finito ostaggio di ragioni elettorali, segna dunque l’inizio di una vicenda che si protrarrà anni e si annuncia ad altissimo rischio incendiario. Sogin ovviamente si augura il contrario, e invita a pensare al deposito unico non come fonte di rischio per la salute pubblica ma di “garanzia”, vista l’oggettiva l’inadeguatezza degli attuali siti sparsi sul territorio nazionale e la necessità di evitare che, presto o tardi, non si sappia più dove ficcare i rifiuti radioattivi di ogni giorno, quelli banalmente prodotti in ambito medicale che ogni anno producono 500 metri cubi di scorie. Non solo. Nel 2025 saranno scaduti poi i contratti stipulati con Francia e Inghilterra per riprocessare le scorie da combustibile nucleare e quando i fusti torneranno in Italia il problema di dove metterli sarà impellente.
La creazione di un’unica discarica per i rifiuti nucleari è richiesta da una direttiva europea e consigliata da un po’ tutti gli esperti, pro e anti nucleare. Si tratta di farlo mandar giù agli italiani, in particolare quelli che se la ritroveranno dietro casa. Il rischio proteste è altissimo, e per questo la società controllata dal Tesoro parla della necessità di avviare un processo di coinvolgimento “trasparente e informato”, di informazione capillare per “evitare condizionamenti dovuti all’irrazionalità”. Ecco, forse proprio questo era il timore – ma per se stessi – di quei parlamentari che hanno suggerito di far slittare la pubblicazione dei criteri a dopo il voto, evitando che il tema agitasse le 4mila amministrazioni in via di rinnovo e lo scontro all’ultimo voto per le europee. Con buona pace del coinvolgimento trasparente e informato.