Non parla nei comizi, fa poche interviste e non ha presentato un programma ma è l’uomo che si avvia a vincere le elezioni presidenziali previste per martedì e mercoledì prossimo. L’ex capo delle forze armate Abdel Fattah El Sisi – forte della sua enorme popolarità conquistata grazie a un martellamento mediatico e a una feroce repressione di tutte le voci di dissenso – con la sua candidatura ha messo in scena una campagna elettorale anomala tanto da aver aggiunto nel linguaggio della politica egiziana un nuovo termine: camouflage. “Camouflage ha due significati: rappresenta la tuta mimetica dei militari ma anche una copertura, in poche parole vuol dire che stiamo assistendo a una restaurazione militare travestita da processo democratico”, spiega Wael Iskandar, attivista e giornalista egiziano.
Dallo scorso 3 luglio quando Sisi, sull’onda della grande manifestazione del 30 giugno, ha deposto il presidente islamista Mohammed Morsi, la sua immagine ha invaso le strade egiziane facendo di lui il nuovo salvatore della patria. Il 26 marzo si è dimesso da capo delle forze armate e poche ore dopo ha annunciato la sua candidatura con un discorso alla nazione trasmesso in tv. “Si è presentato in divisa dicendo che da allora in poi avrebbe vestito abiti civili”, continua Iskandar. “Ma il fatto stesso che una volta dimessosi dalle sue cariche abbia potuto fare un discorso in tv dimostra quello che tutti sanno e cioè che Sisi sta guidando il paese dal giorno della deposizione di Morsi”.
La struttura della campagna di Sisi poggia su un team elettorale che vede anche un assiduo ed efficace uso dei social network. Tra i suoi coordinatori c’è Amr Moussa, l’ex capo della Lega Araba e a sua volta ex candidato alle scorse presidenziali, e diverse persone vicine all’ex regime di Mubarak. La loro presenza, nonostante la messa al bando del Partito Nazionale Democratico (il partito dell’ex dittatore) e i continui riferimenti alla rivoluzione e alla democrazia negli slogan elettorali, non crea troppo imbarazzo tra l’opinione pubblica. La campagna, inoltre, può contare su un cospicuo budget che ha permesso anche l’organizzazione di una regata ad Alessandria con foto ben in vista dell’ex federmaresciallo e la distribuzione di volantini per la capitale con dei jet privati. Una campagna in piena regola, con la differenza che nessun programma è stato pubblicato e che Sisi, oltre alle poche interviste accomodanti alla tv egiziana – e di cui solo una in diretta – non fa apparizioni pubbliche e soprattutto evita accuratamente la stampa straniera. Solo la Reuters è riuscita ad avere un’intervista alcuni giorni fa mentre diverse testate hanno raccontato la difficoltà dei colleghi stranieri ad avvicinare lo staff di Sisi.
Mada Masr, testata indipendente egiziana in lingua inglese, in un articolo intitolato “E’ una campagna o no?”, racconta che una sua giornalista, dopo svariate telefonate a vuoto, cerca di andare personalmente al quartier generale e viene lasciata di fronte al filo spinato di recinzione mentre attende una telefonata di autorizzazione che non arriverà mai. “Non è una persona carismatica e abbiamo visto cosa è successo nel 2012, quando due candidati di punta vennero bruciati dal confronto televisivo”, spiega Enrico De Angelis, esperto di media arabi e ricercatore del Cedej del Cairo. “Abbiamo un esempio anche a casa nostra, Berlusconi faceva la stessa cosa quando sapeva di avere già la vittoria in tasca. Nel caso egiziano, Sisi non ha bisogno nemmeno di un programma perché è lui stesso il programma: deve promettere stabilità e sicurezza nazionale e la fine della minaccia islamica. Tutto è scritto sulla sua divisa”. Unico candidato a competere con Sisi è Hamdeen Sabbahi, socialista nasseriano arrivato terzo alle scorse presidenziali del 2012. “Non so perché Sabbahi abbia deciso di candidarsi”, conclude Iskandar. “Forse pensa che non sia una messa in scena o vuole cercare di fare opposizione. E’ una domanda che al momento non trova risposta”.