Nel 1911 venne definita uno scatolone di sabbia. In realtà la Libia non era proprio questo. Per vendicare l’onta di Adua del 1896, l’Italia si schierò contro l’impero ottomano per la conquista di Cirenaica e Tripolitania. Di sicuro non fu l’unico motivo. A distanza di cent’anni dai bombardamenti italiani in Libia, “lo scatolone di sabbia” sarebbe entrato nel vortice di una guerra civile conclusasi “apparentemente” con la morte di Gheddafi. Apparentemente perché la guerra civile non si è mai conclusa. E sono molte le aziende italiane che ne subiscono le ripercussioni.

In merito alle infrastrutture la presenza italiana è ben solida. Anas è capofila del gruppo di imprese italiane per la realizzazione di un autostrada lungo la costiera libica. Si parla di un affare da circa 125,5 milioni di euro per il servizio di advisor. Ma il settore in cui investiamo di più resta quello delle armi e della tecnologia militare. Nel periodo tra il 2005 e il 2009 l’Italia ha avuto un primato importante. E’ stato il paese dell’Unione Europea che ha venduto più armi al dittatore libico Gheddafi. L’Italia ha esportato armi per un totale di € 276,7 milioni in 5 anni. Principalmente pistole Beretta. Finmeccanica ha costituito con il fondo Lybian Africa Investment Portfolio una joint venture per una cooperazione nei settori dell’aerospazio, trasporti ed energia. La Agusta-Westland ha stipulato un contratto per la fornitura di 20 elicotteri da soccorso. La Alenia Alemacchi un contratto di 3 milioni di euro per un programma di formazione e revisione dei sistemi di propulsioni su 12 aerei SF – 260

Infine l’Iveco (gruppo Fiat) presente con un impianto di assemblaggio di veicoli industriali. La vendita di armi al colonnello, oltre alle notorie partecipazioni libiche in tante aziende italiane e investimenti italiani in Libia vedi Eni, Unicredit, Impregilo, Finmeccanica, Fiat e Juventus, suscita ancora oggi non pochi problemi. La Lafico, Libyan arab foreign investment company, nel 2002 entrò a far parte della Juventus. Per un certo periodo è stata anche azionista di minoranza e partner della Triestina. Fino a quando era in vita Gheddafi ha posseduto il 7,5% delle azioni della Juve, per un valore pari a circa 13 milioni di euro. La Lafico ha supportato le scelte del club, compreso l’aumento di capitale del 2007. Dopo la morte del “colonnello” la Lafico si è attestata sull’1,5%

L’interesse libico per la Juventus ha origine dalla passione del più giovane dei figli di Gheddafi per la squadra di Torino. Il giovane Saadi militò anche nel nostro campionato. La guerra civile libica sta rallentando le esportazioni verso l’Italia e di conseguenza le varie aziende italiane operanti in Libia stanno risentendo di una paralisi generale. Più crolla la Libia più crolla l’Italia. Il dato ormai è incontrovertibile. L’Eni è in Libia si può dire da sempre ma la fine dello stato libico dopo Gheddafi mette apprensione. L’ipotesi di una tripartizione della Libia in Tripolitania, Cirenaica e Fezzan non sembra così remota tra spinte indipendentiste e politiche protezionistiche delle proprie risorse naturali. Davvero l’unica preoccupazione di Renzi è che la Libia possa cadere nelle mani dei fondamentalisti islamici?

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Finanza marcia, finale a sorpresa per ‘la banda degli onesti’

next
Articolo Successivo

Elezioni Europee 2014, la sindrome del 1922

next