Negli anni delle case di lamiera, non ho mai scritto una sola parola di biasimo o di rimpianto o di rabbia che attenesse ai miei deserti; di quella rabbia cieca e segreta che tanto piace a certi autori o a un certo tipo di letteratura. Avevo smesso persino con il diario. Ero in minoranza, a disagio nei confronti del mondo, del suo esempio più brutale. Non sapevo parlare il dialetto, per questo ero sempre in minoranza. E quei compagni tarmati, butterati, rosi come un panno liso, erano tutti cadaveri, ma ve ne ho già riferito.
Da adulta, oggi devo ammetterlo, provo a raccontare, non a ricordare. Sono due azioni diverse. Non sarà mai didascalico questo procedere: Romina è esistita veramente, Massimo anche, ma non siamo mai stati insieme, Mary è morta e non si chiamava Mary. E a proposito di lei: sopravviveva a tutte le overdose, e infatti è morta di cancro. Ed era molto giovane. Quando tentò di farla finita sul serio con un grammo di ero, la salvarono con il narcan. Se l’è sparato in vena, mi disse Romina quasi scocciata, con un sussulto. “Minaccia sempre di ammazzarsi, ma non lo fa mai”. Bè con un grammo sì, replicai debolmente. Guardavamo dalla finestra di Romina verso il balcone di Mary con le imposte chiuse.
Mary era in ospedale, bella lo stesso, chiese al fratello la sua trousse di trucchi, con la scimmia, cioè in gergo, con la rota, non voleva farsi trovare in disordine, nemmeno in un letto di ospedale. Non era straordinaria quella donna? Le cuffie alle orecchie, ascoltava Tanita Tikaram, anche quando aspettava il tizio con la roba ascoltava Tanita Tikaram, il suo corpo da femmina vera, tuttora non so piuttosto cosa voglia dire per me, non lo sono mai stata, misero ectoplasma in fondo in quella valle di butterati, io non da meno.
Non è uno sfogo, vi sto preparando al mio nuovo romanzo, ora mi accuserete: ah fai pubblicità al tuo libro. Sì, però dentro c’è la solita carne che pulsa, il solito cuore meschino pronto per essere mangiato, è per voi. Ci sono i compagni, li chiamo i compagni della valle, penso allora a un verso di Baudelaire, o al personaggio di Orwell, Comstock, lo cita anche lui: comme au long d’un cadavre un cadavre etendu. E poi c’era quel diario maledetto, il diario di Christiane, le sue orribili marchette, i buchi nel bagno del Bhanhoof Zoo, era tutto così orrendo e sporco. Dovevo dimenticare, non ci sono mai riuscita. Romina mi rideva sulla faccia: sei una ragazzina. Aggiungerei oggi: viziata, viziatissima ragazzina di estrazione borghese, niente di più tedioso e normale. E io odiavo la normalità.