Dopo la principessa Alessandra Borghese, beneficiaria di una consulenza da 150 mila euro annui, è la volta del critico d’arte Germano Celant, cui è stato affidato un compenso di 750 mila euro per 30 mesi di lavoro: i cantieri son quasi fermi ma gli uffici della società Expo 2015 Spa funzionano a pieno regime. E se la nobildonna fu poi allontanata dal sindaco Giuliano Pisapia, sull’incarico di Celant non c’è molto da fare: è stato assegnato fino al 31 ottobre 2015. Per carità, come riporta Il Giornale ieri in edicola Celant ha un curriculum notevole. Curatore del Guggenheim museum di New York, poi direttore della Biennale di Venezia, oggi direttore della Fondazione Prada e della Triennale di Milano, nonché curatore per Expo dei “servizi per la curatela e la direzione artistica per l’area tematica food in art”. Di cosa si tratti non è chiaro. E la società, interpellata, aggiunge pure che Celant non farà da solo, ma avrà “il contributo di un team di oltre 8 persone composto da assistenti, professionisti e collaboratori qualificati selezionati ad hoc”.
Ma dopo le inchieste, gli arresti per tangenti camuffate da consulenze, i bilanci della società in profondo rosso, i quasi 30 milioni che al momento mancano all’appello, la task force Expo annunciata dal premier e abortita in 48 ore (perché Raffaele Cantone, cui era stata affidata, ha compreso e onestamente dichiarato che non era possibile controllare lavori e appalti senza avere poteri adeguati), stupisce scoprire che vengano assegnati compensi simili per l’esposizione universale. Persino un altro critico d’arte di notevole rilievo, Demetrio Paparoni, ne è rimasto colpito. Tanto da prendere carta e penna e scrivere al sindaco Pisapia, al commissario unico di Expo, Giuseppe Sala, e allo stesso Cantone. “La sensazione sgradevole che si ricava da questa vicenda è che ci troviamo dinanzi ai metodi della vecchia politica. Possibile che non si comprenda che, a forza di elargire cifre sproporzionate a personaggi in auge dagli anni della Prima Repubblica, si sta consegnando l’Italia a una deriva qualunquista?”. E ancora: “In Italia ci sono pensioni da ottocento euro al mese; Pompei cade a pezzi; la giovane arte italiana è ormai inesistente all’estero, proprio grazie ai mandarini del sistema dell’arte italiano che promuovono solo se stessi; il direttore della galleria degli Uffizi di Firenze guadagna 1.890 euro al mese e a Firenze le sale dello stesso museo non sono adeguatamente deumidificate. Per assenza di fondi”.
Ma basta guardare a Milano: la Pinacoteca di Brera e Santa Maria delle Grazie, dove è esposta L’Ultima cena, venerdì sono rimaste chiuse per lo sciopero contro i tagli ai Beni culturali. Anche per Expo mancano i fondi necessari (la Provincia di Milano, uno dei cinque azionisti, non versa la sua parte da due anni) ma le caselle vengono occupate. E ben remunerate. Il lavoro di Celant, spiega la società, comprende “l’ideazione, la realizzazione e la curatela totale facendosi carico della macchina produttiva della mostra” food in art. Celant, tra l’altro, è solamente uno dei tanti esperti e tecnici che gli attivissimi uffici di Expo hanno ingaggiato o ingaggeranno.
da Il Fatto Quotidiano di domenica 25 maggio 2014