Ma chi è quella ragazza bruna che sembra tenersi sotto braccio una scolaresca mentre il presidente della Repubblica, sul porto di Civitavecchia, ricorda Falcone e Borsellino? Che impartisce consigli e indicazioni prima che i bambini vadano sul palco a cantare (ironia della cronaca) la bella canzone di Fabrizio Moro contro la mafia? La loro maestra, pensi. Sbagli, perché la maestra vera compare subito dopo a dirigere l’innocenza monella e compita del coro. Rieccola però durante le operazioni di imbarco: forza, si sale sulla “nave della legalità”, si parte per Palermo, sono state appena srotolate sulla fiancata le gigantografie dei due giudici.
Il giorno dopo è l’anniversario della strage di Capaci. E anche quest’anno la nave si accinge a portare in quella che fu la città mattatoio d’Europa centinaia e centinaia di bambini e adolescenti. Scelti in premio tra quelli che hanno seguito a scuola, durante l’anno, un percorso di formazione sulla mafia o sulla legalità, su tema stabilito dal ministero e dalla fondazione Falcone. Si paga il costo del carburante, il resto è frutto di servizi volontari. Sono quasi millecinquecento i giovanissimi ospiti, vengono da tutte le regioni, componimenti scritti o lavori multimediali, dalla corruzione in Trentino all’evasione fiscale a Pomigliano d’Arco. Eccola ancora lì, la ragazza, con un telefonino appiccicato all’orecchio, che regola il traffico e dà le istruzioni. Sembra conoscere tutti. E un po’ più adulta di una maestrina supplente. Sarà addetta all’organizzazione, pensi, mentre i volontari le scivolano intorno e si prendono cura del bimbo delle elementari come dell’autorità più alta in grado.
La sera la rivedi a cena sulla nave. Ma non tocca cibo. Discute programmi e scalette con un paio di giovani. Uno vestito con eleganza, una molto sportiva. E pensi che debba essere a capo di qualche struttura, dev’essere per forza così, mentre dà disposizioni per l’incontro della sera: le domande dei ragazzi sullo stato della lotta alla mafia. Che sia a capo di qualcosa lo intuisci definitivamente il mattino dopo, quando la nave arriva nel porto di Palermo. Perché nei lunghi minuti che precedono lo sbarco, mentre già si sentono da fuori le voci dei ragazzi palermitani che inneggiano a “Giovanni e Paolo”, è lei a mettere in fila tutti, autorità comprese, ancora quel telefonino, e intorno a lei volontari e altri giovani dell’organizzazione, qualcuno e qualcuna con gli occhi lucidi. Anche lei è commossa, e pensi che sia allora esponente di qualche associazione (la fondazione Falcone? Libera? Addiopizzo?) a cui è stato delegato il compito di organizzare l’evento. In ogni caso, comanda. La prova inconfutabile arriva al momento di salire sul palco per un saluto agli studenti siciliani che aspettano dall’alba. Insorge una disputa tra “colleghi” delle forze dell’ordine per decidere chi possa salire, questo sì questo no. Finché la ragazza bruna tira fuori un piglio da generale e zittisce tutti: sappiamo noi chi deve salire. Vista da vicino può avere 27 o 32 anni. O forse di più, oggi è difficile riconoscere l’età. Poi inizia la giornata che scuote i sensi e gli ideali di chi nulla sa di beghe tra vip, di dispute bizantine sulla giusta linea dell’antimafia. Certo, un po’ di presenzialismo c’è, ma è meglio dell’assenzialismo. L’aula bunker (con un video Rai da brivido su Falcone), piazza Politeama, piazza Magione. Si snoda per Palermo l’emozione di ventimila giovani. La ricerca di un senso per sé, la gratitudine per gli eroi civili.
Polemiche? Non se ne accorgono, e nemmeno sanno – beati loro – che è da trent’anni che le manifestazioni antimafia si svolgono, secondo la stampa, “tra le polemiche”. Sfilano nel pomeriggio incitati da Salvatore, leader naturale che arringa dal camion “l’Italia è nostra/ e non di Cosa nostra”. L’innocenza si riga di lacrime e fa festa quando ai nomi di Giovanni e Paolo si sovrappone la splendida canzone dedicata dai Modena City Ramblers a Peppino Impastato: “uno-due-tre-quattro-cinque-dieci-cento passi”. Ecco di nuovo la ragazza. Ora indossa una maglietta viola, sulla schiena la frase di Falcone, “gli uomini muoiono, le idee restano”. Incita, batte le mani, balla, si commuove. E rieccola sul palco su cui, a sorpresa, sta arrivando Gianni Morandi, per un concerto improvvisato e generoso. Io in realtà la ragazza misteriosa la conosco. Ho solo provato a guardarla con altri occhi. Si chiama Giovanna, nome non di fantasia. E ha pochi anni di più di quelli che le ho dato a vista. Non è maestrina di prima nomina, né organizzatrice di eventi, né esponente di associazione, per quanto abbia alle sue spalle esperienze di volontariato nel suo Piemonte. È direttrice generale al ministero dell’Istruzione, guida la Direzione generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione e la comunicazione. È un caso di ministero con l’anima, che crede nei suoi programmi, e non si risparmia perché vengano eseguiti nei dettagli che fanno la differenza. Che ama e si commuove davanti al meglio della storia del Paese. Ma ve l’immaginate l’Italia con una burocrazia così?
Dal Fatto Quotidiano del 25 maggio 2014