Sopracciglio ribelle, chewing gum in bocca e il solito aplomb. Italia, Inghilterra, Francia e Spagna. Nessuno conosce l’Europa come lui, neanche Martin Schulz. Carlo Ancelotti le sue europee le ha già vinte.
L’incornata di Sergio Ramos al 93esimo è paragonabile alla vendetta del toro sul matador, durante una corrida. Il colpo di testa del difensore spagnolo, nei cinque minuti di recupero, porta il match ai supplementari e riaccende le speranze delle merengues, costringendo i tifosi del Real a un altro giro di caña, e quelli dell’Atletico a correre in bagno per sciacquarsi la faccia.
Mentre in campo i blancos si svegliano e i colchoneros vedono allontanarsi il sogno di alzare al cielo, per la prima volta, la coppa dalle grandi orecchie e conquistare, dopo la Liga, anche l’Europa. Quell’Europa tanto cara a Carlo Magno Ancelotti che, dopo l’incubo dei Reds – 3 a 1, 3 a 2, 3 a 3 – conosce ancora meglio.
Infatti Re Carlo non si scompone dopo l’uno a zero firmato Godin che porta in vantaggio l’Atletico. E non lo fa neanche dopo il gol di Ramos. Sta fermo, con i piedi per terra. Non corre, non saltella e non urla. Esulta stringendo i pugni, come a dire: “È fatta. Vinciamo noi”, senza hashtag.
Perché è nei minuti di recupero che il Real vince la Decima, cinque minuti fatali per i guerrieri guidati dal Cholo, infuriato con l’arbitro olandese Kuipers. La mezz’ora di extra time che segue è solo una conseguenza, con le speranze dei rojiblancos che si affievoliscono e l’entusiasmo dei galácticos alle stelle. Una sconfitta che Costa cara a Simeone, con un pesante 4 a 1 finale che resterà nella storia. Così come Carlo Ancelotti, con il suo sopracciglio ribelle, il chewing gum in bocca, e il solito aplomb.