C'è tasso e tasso: pur concorrendo a ripagare le banche dei prestiti concessi a fatica a famiglie e imprese, non tutti vengono sommati nel calcolo dell'eventuale superamento delle soglie fissate trimestralmente dalla Banca d'Italia. Una questione molto controversa che una recente sentenza della Cassazione favorevole al consumatore non è bastata a dirimere
L’unica certezza sugli interessi è che sono salati. Ma non tutti valgono allo stesso modo, c’è tasso e tasso. E così, pur concorrendo a ripagare le banche dei prestiti concessi a fatica a famiglie e imprese, non tutti vengono sommati nel calcolo dell’eventuale superamento delle soglie di usura fissate trimestralmente dalla Banca d’Italia. Una questione molto controversa che una recente sentenza della Cassazione favorevole al consumatore non è bastata a dirimere, anzi. E così più la crisi avanza, più soldi escono dalle tasche della gente e più aumentano i ricorsi in Tribunale contro gli istituti di credito che avrebbero invece dovuto ridare ossigeno all’economia grazie ai prestiti a buon mercato a suo tempo concessi dalla Banca Centrale Europea. E magari si trattasse solo di “un atteggiamento negativo verso le banche perché siamo in campagna elettorale”, come vorrebbe il presidente di Unicredit, Giuseppe Vita.
La vicenda è ben più complessa e passa per le indicazioni di Bankitalia, di cui gli istituti di credito, dopo aver incassato laute plusvalenze dalla rivalutazione del capitale, restano azioniste. Così accade che il coacervo di conflitti di interesse, si trasforma in un boomerang per i cittadini e le imprese. Perché da un lato le aspettative dei clienti sono alte, sulla base appunto della giurisprudenza esistente in tema di usura che in caso di superamento delle soglie proibite prevede l’obbligo per la banca di restituire tutte le somme percepite a titolo d’interessi e a non pretenderne più per il futuro. Dall’altro, le ultime sentenze dei tribunali civili seguendo un’interpretazione fortemente restrittiva delle indicazioni in merito della suprema corte, stanno dando ragione alle banche a loro volta sostenute dalla Banca d’Italia, sostenendo che nel calcolo della soglia di usura, il tasso degli interessi di mora fissato dal contratto di finanziamento per i casi di ritardato pagamento, non va sommato aritmeticamente a quello degli interessi corrispettivi nella verifica della soglia di usura.
Eppure nel gennaio dello scorso anno la Cassazione aveva aveva ribaltato il principio sostenendo che anche i tassi di mora debbano essere computati all’interno degli interessi che concorrono a misurare la soglia di usura. Con il conseguente annullamento di quanto il ricorrente aveva pagato in più a Banca Intesa oltre al capitale prestato. Ma la Banca d’Italia non ha fatto una piega. Anzi. Nella successiva circolare di aggiornamento delle soglie ha precisato che gli interessi di mora non rientrano nei calcoli. Con il risultato, come segnala l’ufficio legale dell’Adusbef, che mentre i casi concreti di sforamento delle soglie si moltiplicano per famiglie e imprese, le banche continuano a fare margini sfruttando anche i lunghi tempi della magistratura e l’effetto positivo dei bassi tassi della Bce sull’economia non si vede.
Gli esempi delle situazioni limite non mancano. Come quelle segnalate dall’Adusbef, che racconta di Mps che riesce ad applicare un tasso usuraio già come condizione base (cioè senza conteggiare mora o varie commissione) di un contratto di finanziamento da 800mila euro stipulato nel 2010 da un imprenditore. Per non parlare del Banco di Napoli (gruppo Intesa Sanpaolo) che in un mutuo a tasso variabile da 350mila euro erogato nel 2012 fa pagare tra interessi e mora il 10,2% a fronte di un limite anti usura del 9,4 per cento. O della stessa Intesa che ha agganciato tassi di sconfinamento in assenza di fido ai tassi antiusura diminuiti del 2 per cento. Tutto legale, ma significa che se si va in rosso si arrivano a pagare interessi del 22 per cento (vale sempre la pena ricordare che gli interessi corrisposti dalle banche per i soldi depositati sul conto corrente sono invece intorno allo 0,1%-0,3%). Per la Banca d’Italia nessun problema, basta che “il cliente sia debitamente informato”. Magari con avvisi microscopici scritti nell’ultima pagina del contratto, aggiungiamo noi.
Tutto a posto, insomma, se non fosse per il fatto che il meccanismo di conteggio delle soglie anti usura, definite da Bankitalia, è tarato appositamente per garantire agli istituti di credito ampi margini di profitto anche in situazioni di tassi d’interesse ufficiali molto bassi. Non solo: le circolari di Palazzo Koch contraddicendo spesso e volentieri le norme di legge come interpretate dai giudici danno carta bianca alle banche. Il malcostume è così reiterato che persino la Corte di Cassazione si è vista costretta a rimbrottare Bankitalia. In una sentenza del 2011 (n. 46669), per esempio, scrive esplicitamente che le disposizioni di legge in materia di usura e nello specifico il conteggio della commissione di massimo scoperto, devono essere applicate indipendentemente da quanto diversamente disposto da Banca d’Italia. Significa anche che le banche non possono farsi scudo delle circolari di via Nazionale per giustificare pratiche in contrasto con le disposizioni normative in materia.
Risultato: nell’incertezza più assoluta i correntisti sono sottoposti anche al rischio della ulteriore truffa: stanno letteralmente esplodendo il numero delle società che offrono consulenze finanziarie chiedendo spesso compensi salatissimi – molte volte non corrispondenti alla qualità delle relazioni offerte – a fronte di un’incertezza assoluta dell’esito. Il rischio di fregatura, così si moltiplica creando un vero e proprio far west.