Il tricolore egiziano è onnipresente. Per le strade gli ambulanti vendono bandiere a ogni angolo, le donne hanno scelto il nero, bianco e rosso da abbinare ai propri abiti. In questo primo giorno di elezioni presidenziali in Egitto, il tricolore rappresenta il sostegno per El Sisi, l’ex capo delle forze armate e il grande favorito di queste elezioni. La sua campagna elettorale è iniziata dallo scorso luglio quando l’allora generale depose Mohammed Morsi raccogliendo la richiesta dei milioni di egiziani scesi in piazza nelle grande manifestazione del 30 giugno.
Dalle 9 del mattino, orario di inizio delle votazioni, i seggi si sono lentamente popolati di sostenitori di El Sisi. Difficile trovare qualcuno che voti per l’unico sfidante, Hamdeen Sabbahi, l’uomo che alle scorse presidenziali del 2012 arrivò terzo con il 21% di voti. Chi non è d’accordo con la restaurazione militare resta a casa, autocensurando il proprio dissenso dopo svariati mesi di dura repressione contro i Fratelli Musulmani e tutte le forme di opposizione (secondo i dati diramati da Wiki Thaura, le persone arrestate dal giorno del colpo di stato per reati d’opinione sono 41.163). Così il voto sembra una festa, con le macchine che suonano il clacson e inneggiano e Sisi e le donne che escono dai seggi sventolando bandiere e ritratti del generale.
“Sisi è l’uomo in grado di rimettere in moto l’economia”, dice Mervat, 40 anni, che questa mattina ha votato in uno dei seggi del quartiere cairota di Heliopolis. Ossayma, invece, ha deciso di vestire l’hijab con il tricolore nel quartiere di Mohandessen: “Nel 2012 aveva votato Mohammed Morsi – spiega a ilfattoquotidiano.it – Credo non abbia fatto nulla nel suo anno di governo, per questo ho deciso di ridare fiducia ai militari”.
Nella Capitale gli elettori che sono andati a votare sono per la maggior parte over 40 e la mancanza dei giovani ai seggi è l’ennesima conseguenza della repressione perpetrata dai militari. Diversi movimenti rivoluzionari, non riconoscendo la validità del voto, hanno scelto di astenersi, così come i Fratelli Musulmani, il cui movimento è stato dichiarato “organizzazione terroristica” dal governo transitorio militare.
Sabbahi, unico candidato a sfidare El Sisi ha fatto leva nella sua campagna sui valori della rivoluzione ma il suo esplicito assenso alla legittimità della strage dello scorso agosto ha allontanato gli attivisti rivoluzionari per il quali il rispetto dei diritti umani costituisce un insormontabile punto fermo. L’unica incognita di queste elezioni resta l’affluenza: gli elettori registrati sono circa 52 milioni e mezzo e dalla campagna di Sisi la speranza è di superare il 43,4% registrato nel 2012.
Il clima che si respira in queste elezioni è lontano anni luce rispetto a due anni fa, quando l’Egitto per la prima volta elesse democraticamente Mohammed Morsi. Ora l’entusiasmo democratico sembra svanito e il Paese torna a rimettersi in mano ai militari, sfinito da tre anni di travagliata transizione democratica.
Intanto, tra i volontari della campagna di El Sisi il risultato è già scritto, forti anche del 94% ottenuto nelle votazioni degli egiziani all’estero. “So che per voi occidentali prendere più del 90% può sembrare strano – dice uno dei coordinatori della campagna dell’ex federmaresciallo – Ma l’Egitto ha bisogno della stabilità e non è pronto per la democrazia”.