“Pompei. Catastrofi sotto il Vesuvio” era il titolo della mostra allestita dal 6 dicembre 2012 al 5 maggio 2013 presso la Fondazione Canal de Isabel II, a Madrid. Oltre 350 reperti in esposizione, provenienti dai siti preistorici di Nola e Poggiomarino, oltre che da Pompei e dai più noti siti vesuviani. Un evento culturale di riconosciuto livello. Preceduto dall’appuntamento, dal 9 dicembre 2011 all’8 giugno 2012, al Museo Nazionale di Storia di Halle, in Germania.
Il sito dell’Età del Bronzo ritrovato in località Croce del Papa, al confine tra i Comuni di Nola e Saviano, è stato pubblicizzato in Europa attraverso alcuni dei materiali scoperti nel corso delle indagini. I documenti materiali di quella straordinaria scoperta sono stati esposti con orgoglio. La cosiddetta Pompei della Preistoria. Sembrava una favola italiana. Che invece si è dissolta appena pochi giorni fa. A poco più di decennio dalla sua scoperta.
Con il reinterro dell’area archeologica. L’ennesimo seppellimento. Dopo quello provocato dall’eruzione del Vesuvio, nell’antichità. La storia non molto dissimile da molte altre. Prima celebrate poi dimenticate, sostanzialmente abbandonate. La scoperta nel 2001 è stata casuale, durante i lavori per la realizzazione di un edificio commerciale. Quindi le indagini con il rinvenimento di tre grosse capanne, all’esterno delle quali si trovavano alcuni forni e degli spazi per animali e la possibilità di osservare nella loro interezza strutture quasi sempre note a livello di fondazione. Finalmente poi l’apertura alle visite, garantite dall’Associazione Meridies. In seguito è stato possibile realizzare coperture e creare un percorso all’interno dell’area. Soltanto nel dicembre 2004 arriva l’acquisto dell’area di 5.395 mq da parte della Regione Campania, con un impegno finanziario pari a 785.949 euro. Nelle intenzioni, tutt’altro che un intervento isolato, dal momento che l’acquisizione avrebbe dovuto costituire il primo passo verso la costituzione di un Parco archeologico.
Uno degli otto Itinerari culturali dei Progetti integrati del Por Campania 2000-2006 era denominato “Valle dell’Antico Clanis” per il quale si prevedeva un investimento di 20.108.249,32 euro (tra risorse Por pari a 13.394.309,63 euro e risorse private pari a 6.713.939,69). Trionfanti le affermazioni dell’Assessore regionale alla tutela dei beni paesistico-ambientali, Marco Di Lello per il quale il complesso di Nola era “destinato a diventare un’interessante attrazione turistica così da arricchire il patrimonio culturale della nostra regione. Questa ennesima procedura di acquisto vuole evitare che sui suoli dove insistono le testimonianze archeologiche vengano realizzati progetti incompatibili con la tutela e la valorizzazione dei beni culturali”. Nell’agosto 2006 arriva l’esito finale, che precisa la determinazione del dicembre 2004. Con la Regione che restringe l’area acquisita e porta il prezzo dell’operazione, abbassandolo, a 715.000 euro.
Ma intanto, all’inizio del 2005 si da il via i lavori per il Parco. Contando sul finanziamento della Regione di 1 milione e 600 mila euro. Tra il 2006 e il 2008 si susseguono vicende alterne. Fatte di chiusure e riaperture. La causa principale, l’innalzamento della falda acquifera, la vegetazione infestante, la scarsa manutenzione ad un sito, al contrario necessitante di continue cure. Assicurate quasi per intero dai volontari dell’associazione Meridies, che nel 2008 provvedono ad accrescere la comprensione del sito con una serie di pannelli didattici. Fatica sprecata, verrebbe da dire. Dal momento che dal giugno 2009 al giugno 2011 l’ingresso all’area é rimasto sbarrato su decisione della Soprintendenza archeologica. Il motivo? La portata della falda acquifera sottostante l’area era diventata “ingestibile” e le capanne erano state completamente sommerse. Nell’agosto 2012, il destino dell’area archeologica era segnato. Già alla fine del successivo settembre previsto il seppellimento. Rimandato, più volte. Considerando anche gli strenui tentativi di associazioni e comitati locali.
Della questione è stato costretto ad occuparsene anche il ministro Franceschini, dopo un’interrogazione parlamentare a firma della Vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, nella quale si chiedeva quali iniziative si volessero prendere affinché fosse “avviata una programmazione di interventi atti a scongiurare l’interramento definitivo del villaggio preistorico nolano, a conservare e restaurare le strutture e a valorizzare il sito nel suo complesso …”. La risposta, il 12 marzo scorso, nella quale si sottolineava come la Soprintendenza “nell’ambito delle proprie competenze di tutela e preservazione dei beni archeologici, ha elaborato un progetto per un importo di 650.000 euro, che prevede un intervento immediato di tutela e salvaguardia delle strutture archeologiche e la ricostruzione sul sito in scala 1:1 delle capanne. Comunica quindi che l’intervento è stato approvato dal consiglio di amministrazione della competente Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Napoli e Pompei, che ne ha anche disposto il finanziamento, che i lavori sono stati affidati e che sono in corso le prime opere di rilevamento e messa in sicurezza dei reperti archeologici”. Dulcis in fundo si spiegava quale fosse l’obiettivo: trasformare il sito in un piccolo parco archeologico, all’interno del quale sarebbero state realizzate strutture di tipo didattico, scientifico e di servizio al pubblico.
A Nola vince il modello del copia-incolla. Si preferisce riprodurre quel che si era scoperto. Decidendo di sotterrare il villaggio “vero”. La stessa operazione tentata, e non riuscita, rimanendo all’ambito regionale, a Napoli Est con la “Pompeiworld-Pompei Universal Studios” e a Pompei con la “Pompei rivive”. Con una sostanziale differenza. Quei progetti erano sostenuti da politici locali e da alcuni imprenditori. Le Disneyland dell’archeologia erano una loro idea. Invece nel caso di Nola il copyright è della Soprintendenza archeologica, come si affermava nella risposta all’interrogazione parlamentare, “nell’ambito delle proprie competenze di tutela e preservazione dei beni archeologici ”. Il sito nel quale sorgerà la “riproduzione” sarebbe proprio quello nel quale è sotterrato l’ “originale”. La fedeltà con la quale si provvederà a ricostruire le forme antiche, indubitabile. Il dubbio che non sia solo una questione di risorse insufficienti, s’insinua. Il timore che il nostro modello siano diventati i Paesi che ci copiano, esiste. In Costa D’Avorio si può ammirare una stupefacente Basilica di San Pietro. Nel distretto dello Chouf, in Libano, splendidi Palazzi toscani. Tra poco a Nola il villaggio dell’età del Bronzo. Quello nuovo di zecca.