Peter Gomez ha sottolineato, durante l’incontro, a proposito del dibattito sulla privacy in rete: “Possiamo insegnare ai nostri figli come usare i social, ma il problema che da qualche parte c’è qualcuno che sa cosa facciamo, quale sito guardiamo, quali sono le nostre abitudini (magari non lo fa ma lo potrebbe fare), dal punto di vista legislativo può essere regolamentato, ma sono certo che sarà una sconfitta. Perché il potere e le possibilità tecnologiche sono talmente grandi che non penso che l’Unione Europea o gli Stati Uniti possano farlo e abbiano interesse a farlo. D’altra parte però abbiamo altri vantaggi: come diceva Luigi Einaudi bisogna poter conoscere per poter deliberare, e con la rete le possibilità di conoscenza aumentano. Quando questo paese diventerà un paese normale potremo finalmente capire cosa fanno le Pubbliche Amministrazioni vedendo online tutti i procedimenti, le note spese del Parlamento e via dicendo. Vediamo che in democrazie un pochino più antiche della nostra esempi di democrazia partecipativa ci sono e funzionano, poi magari i risultati non piacciono (vedi i referendum sull’immigrazione in Svizzera), però nessuno si può sognare di dire che sia più democratico se vota il Parlamento, è più democratico se si esprimono i cittadini.”
Vi diamo appuntamento a martedì 27 maggio, ore 17 sala Informagiovani di Palazzo Ducale (Genova) per l’incontro con Goffredo Fofi intervistato da Marco Aime e Carla Peirolero sul tema “Le piazze e la cultura”. All’incontro, che si inserisce nel progetto regionale formativo “L’intercultura va a scuola”, interverrà l’Assessore alla Formazione e Istruzione della Regione Liguria Sergio Rossetti. Nel frattempo vogliamo continuare il dibattito e l’approfondimento sul tema attuale più che mai delle piazze virtuali, col contributo di Mario Dossoni, sociologo dell’Università di Pavia.
Il rapporto tra piazza luogo fisico e piazza virtuale nel cyberspazio può essere inteso come un continuo processo osmotico di ridefinizione di percorsi esperienziali. In entrambi i casi ci si situa, ci si colloca conducendo se stessi, manifestandosi attraverso una propria caratterizzazione individuale che trova in ciascuno dei due tipi di piazza una dimensione aggregativa. In questa accezione la piazza fisica o quella virtuale mantiene il suo significato etimologico di luogo largo, ampio, aperto in cui sono possibili pluralità di espressioni.
Il cyberspazio permette a tutti, almeno teoricamente, di rendere manifeste le proprie proposte e su queste creare convergenze. Le proposte, le elaborazioni assumono visibilità, determinano confronti, possono essere ritenute vincenti e convincenti, ma rimangono virtuali. Indicano qualcosa che esiste in potenza, una produzione innovativa di idee e di forme di relazione, illustrano delle configurazioni di potenzialità. Il virtuale richiede, però, un processo di trasformazione in cui assumere spessore, in cui crescere. Produce degli effetti, struttura anche con forza la realtà sociale, qualche volta con violenza. Questa attualizzazione del virtuale è effettiva e si concretizza nelle forme locali che viene ad assumere.
Non si conferisce una realtà a scelte determinate in rete, ma si producono modi di essere non sempre prevedibili che si alimentano con il virtuale, e che allo stesso tempo alimentano il virtuale. Lo costringono a nuovi confronti, a nuove configurazioni. Il virtuale smobilizza, mobilizza. Il movimento deve trovare un luogo aperto, una piazza, in cui sostare, in cui trovare un’esistenza, in cui fare “esperienze”; e attraverso queste sollecitare nuove riflessioni, nuove configurazioni da sperimentare. Questo processo si coglie in molti avvenimenti politici in altri paesi ed anche in Italia. La democrazia non è solo espressione di idee e conta di opinioni, è esercizio del potere. E questo non può avvenire nel virtuale, trova attualizzazione in piazze specifiche e ben definite.