Chi crede che l’euroscetticismo francese si chiami solo Marine Le Pen si sbaglia di grosso. Tutta colpa della Le Pen. A Parigi come a Bruxelles come ai quattro angoli d’Europa, l’avanzata nera del Front National fa paura, e non solo agli europeisti più convinti. Dopo che Fn si è attestato come il primo partito francese, si apre la caccia ai responsabili di questo exploit: i populisti, gli ignoranti, i socialisti francesi incapaci, gli eurocrati che non si fanno capire, perfino i giornalisti che parlano troppo della Le Pen facendole così pubblicità. Poi ovviamente la crisi economica e le ristrettezze economiche alle quali sono costretti i francesi – come altri Paesi d’Europa – hanno sicuramente giocato un ruolo importante in questa reazione di pancia dei francesi.
Senza dimenticare le politiche europee di austerità che hanno taglieggiato milioni di persone, la troppa burocrazia, la scarsa comunicazione ai cittadini e il deficit democratico di istituzioni europee sempre più potenti ma senza un adeguato controllo democratico. Tutto vero, pure la critica ai giornalisti. Ma questo non basta a spiegare il fenomeno Le Pen.
Guardando la storia dell’integrazione francese nell’Unione europea, simili colpi di coda sono tutto tranne che eventi isolati – ad eccezione di alcuni rigurgiti estremisti del Fn. Andando a ritroso nel tempo, viene subito in mente il padre Le Pen, quel Jean-Marie creatore e ispiratore del Front National che nel 2002 arrivò a un passo dall’Eliseo – e che oggi non può praticamente parlare in pubblico per non sporcare l’opera di sbiancamento del partito messo in atto dalla figliol prodiga Marine. Ma gli impulsi anti europei di Parigi non sono solo un marchio di fabbrica di casa Le Pen. Va ricordato che nel 2005 la maggioranza dei francesi votò contro la Costituzione europea (insieme agli olandesi), costituzione poi rattoppata e riproposta agli europei con il nome di Trattato di Lisbona. E così via fino addirittura al 1966, quando in segno di opposizione al passaggio progressivo dal voto all’unanimità al voto a maggioranza qualificata previsto dal trattato di Roma (allora le Ce era composta da sei membri), la Francia non partecipò alle sedute del Consiglio dei ministri europei per sette mesi – la cosiddetta “politica della sedia vuota” di Charles de Gaulle.
La sensazione è che in fondo ad ogni francese sopravviva uno spirito nazionalista o estremamente patriottico – da qui il termine “sciovinista” – che difficilmente accetta di integrarsi in una realtà propriamente “europea”. Per carità, a parole sono tutti d’accordo sull’importanza dell’Europa, ma quando c’è davvero da delegare poteri, accettare norme condivise e rapportarsi con Bruxelles non bilateralmente, allora le cose cambiano. Lo si vede dalle piccole cose come la lingua: quanta fatica per la Francia ad accettare l’inglese come lingua franca di un’Europa che, soprattutto ad Est, ha ormai già fatto la sua scelta linguistica tanti anni fa.
Il fenomeno Le Pen potrebbe allora essere l’occasione perfetta per un’esame di coscienza collettivo per i francesi che avrebbero davvero bisogno di capire che i tempi della “Grande République Française” sono ormai passati e che, contrariamente a quanto sostiene Fn, le grandi sfide del presente e del futuro sono affrontabili solo a livello europeo e con una metodologia comunitaria non intergovernativa come ha cercato di fare l’ex presidente Nicolas Sarkozy insieme alla collega tedesca Angela Merkel.
Paradossalmente il successo del Front National potrebbe tramutarsi in una grande possibilità: per l’Europa di dare risposte concrete ai francesi e agli altri popoli europei in crisi, e per la Francia di sentirsi finalmente veramente europea.