Come tutti i sondaggisti, gli opinionisti e il resto del mondo (tranne, a quanto pare, un portiere di casa amico di Luca Tarantelli) ho cannato le previsioni elettorali. Pensavo sì che il Pd di Renzi avrebbe vinto contro Grillo e il suo M5S, ma immaginavo percentuali molto più umane: un 30-32% per il Pd, un 28-30% per il M5S. Magra consolazione, ho azzeccato l’ordine di arrivo di tutti i partiti principali: Pd, M5S, Fi (che comunque immaginavo più alta di 3 punti, e mai errore fu meglio accolto), Lega, Lista Tsipras e FdI. Questi ultimi tre li ho presi in pieno, compreso chi sarebbe stato sopra (di un niente) e sotto (di poco) alla soglia del 4%.
Ma fin qui, come dire, sti hazzi, come bisognerà dire ora, in fiorentino. Ha vinto un modo di fare politica che non si è visto poi tanto spesso nella storia d’Italia. Un’idea generale di redistribuzione dei redditi, unita al concetto di proporre dei piani inclinati di compromessi e riforme (istituzionali, elettorali e non solo, in taluni casi anche assai discutibili) assieme a un calendario, grosso modo mai rispettato in pieno, ma in generale rispettato nel medio periodo.
Gli elettori hanno apprezzato, così come – al contrario – non hanno apprezzato la spocchia manichea di quei militanti del M5S che erano intimamente convinti (e in larga parte lo sono ancora, ahimè) di essere i buoni-belli-onesti, in lotta epica contro i brutti-cattivi-disonesti. No, la politica è fatta soprattutto da donne e uomini onesti con idee diverse, e ciascuno è convinto della bontà delle proprie idee. Si dovrebbe esser pronti a considerare le idee altrui e a vedere se c’è del buono e del meglio, dove è. Poi, naturalmente, esistono anche i politici disonesti (fra condannati e semplici inquisiti) e in Italia sono una percentuale di tutto rispetto. La cosa positiva – se seguite il paradosso – è che si trovano in tutti i partiti, M5S compreso (oddio, in misura assai maggiore attorno al progetto berlusconiano, ma lì si spiega perché è un fenomeno nato con l’obiettivo preciso di salvare le aziende del miliardario mega evasore fiscale dalla bancarotta e lui stesso dalla prigione; un obiettivo realizzato per tre quarti, direi, a scapito della situazione socio-economica italiana).
Ora che Renzi ha legittimato agli occhi dell’Europa e dell’italia il suo premierato, sarà interessante vedere cosa farà dalla posizione di forza che si è guadagnato. Infatti, se anche il Parlamento italiano rimane (per ora) con gli stessi numeri per il governo, è chiaro che il cambiamento di clima psicologico-ambientale si vedrà subito e che, probabilmente, seguirà via via un cambio anche nei rapporti di forza fra i vari gruppi. Ma se Renzi volesse puntare sui prossimi, sicuri transfughi dai banchi delle opposizioni (specie del politicamente morto Berlusconi) secondo me sbaglierebbe.
La cosa da fare ora è, al contrario, riprendere il filo del confronto proprio con il M5S, che pur avendo preso una batosta epocale da queste elezioni che dovevano essere le sue più favorevoli, rappresenta comunque il secondo partito d’Italia.
Quindi, io per prima cosa chiamerei Grillo e Casaleggio a un secondo incontro in diretta streaming a Palazzo Chigi. Temi essenziali: la riforma del Senato, la legge elettorale, ossia argomenti istituzionali da discutere con le opposizioni e da costruire assieme a loro. Chiederei però a Grillo e Casaleggio se hanno intenzione di collaborare anche alla scrittura di altre riforme importanti. L’obiettivo non sarebbe quello di fondare un nuovo consociativismo, ma quello di far capire che c’è un leader politico che intende realizzare alcune riforme e che è pronto ad ascoltare chi rappresenta 5,8 milioni di italiani, salvo poi fare come 11 milioni di italiani ritengono meglio nel caso in cui i progetti siano del tutto inconciliabili. Si vedrebbre che su alcune linee generali, riassumibili nella lotta alla casta, nei tagli agli sprechi e nella trasformazione del sistema italiano in un qualcosa di più dinamico ed efficiente, le idee del Pdel M5S non sono agli antipodi, non almeno da quando Civati e Renzi hanno “dato la scossa” a questo nuovo Pd, molto più riformista di quello precedente. E si darebbe una terza chance al M5S per cominciare, finalmente, a fare un po’ di politica.
Poi, per carità: nel M5S può sempre continuare ad affermarsi la linea massimalista che ha imperato fino a oggi. Si possono continuare a chiudere nella loro torre d’avorio, convinti che il popolo bue (e pensionato) non li ha compresi, e tirare dritto per la loro strada. In tal caso, il M5S andrebbe a raccogliere di elezione in elezione meno voti, fino a essere sostituito da qualcosa di certamente meno rassicurante. Non converebbe a nessuno, ma quante altre volte è andata proprio così nella storia dei partiti italiani? In tal caso, fossi in Renzi, andrei a elezioni anticipate fatta la legge elettorale e poi ciascuno per sé e Renzi per tutti.