Terzo settore, luci ed ombre nella proposta di riforma del governo Renzi
Il documento presentato dal governo ha sicuramente il merito di mettere al centro del dibattito politico la questione del cosiddetto
Terzo Settore. Su alcune idee, come quella di un forte rilancio del
Servizio civile, non si può che essere d’accordo. Su altre occorrerà discutere nel merito. Si deve però subito esprimere una riserva sull’approccio, che, al di là delle intenzioni, rischia di essere
poco innovativo e di dare esiti riduttivi alle proposte di riordino e riforma.
I rischi
1. Un’interpretazione strumentale dell’articolo 118, u.c., della Costituzione. L’impostazione non appare in linea con il dettato costituzionale, visto che si piega a un’interpretazione non autentica dell’art. 118, u.c. L’articolo persegue la spontanea manifestazione di sussidiarietà dei cittadini col favore delle istituzioni, e non, come è ovvio, la “strumentalizzazione” dell’iniziativa civica secondo un approccio di delega né la mera rincorsa all’assegnazione di servizi da offrire.
Il documento, invece, insiste su idee di “modelli di assistenza del privato-sociale” come rattoppo alla crisi del welfare, in sostituzione della garanzia dei diritti sociali e a seguito di indebite “esternalizzazioni” dei doveri istituzionali. Le attività sussidiarie dei cittadini non possono essere la risposta al taglio della spesa pubblica sociale: questa visione configgerebbe con l’autonomia che la Costituzione riconosce loro nel perseguire l’interesse
generale. Tanto più che le azioni più significative messe in campo dai cittadini riguardano non tanto e non solo l’erogazione di servizi di assistenza, ma la tutela dei diritti, il sostegno ai soggetti deboli, la cura dei beni comuni. È un disegno di società più giusta e coesa, reso possibile dalla partecipazione attiva delle associazioni e anche dei singoli (il riferimento ai “cittadini singoli” dell’art. 118, u.c., manca del tutto nelle Linee guida) che operano
autonomamente per questo.
2. Un’idea di Stato che controlla e si ritrae anziché favorire. Il secondo rischio che il documento corre è che, invece di interrogarsi su come accogliere e accompagnare più efficacemente le diverse attività civiche, lo Stato manifesti prevalentemente intenti di omologazione, regolazione e controllo. Al contrario, nella Costituzione è particolarmente sottolineata la necessità di assecondare, favorire, l’autonomia dei soggetti sociali che operano nell’interesse generale. In questo senso, la Costituzione non consente alle istituzioni di ritrarsi dopo aver esercitato un tipo di valutazione che è attento solo agli adempimenti formali e che va nella direzione dell’“appalto” di servizi. Esse devono accettare la sfida di confrontarsi con la cittadinanza attiva su un piano innovativo di “democrazia duale, cioè di dialettica permanente fra soggetti di diversa natura, con poteri
distinti ma destinati a concorrere”.
3. Il Terzo settore come soggetto prevalentemente economico anziché politico. Coloro che si attivano autonomamente per l’interesse generale, in forma singola o associata, sono con le istituzioni soggetti di progettazione, costruzione e implementazione di politiche pubbliche, e le azioni civiche di interesse generale offrono indicazioni e vincoli concreti alle istituzioni in questo senso. Non si limitano a fornire servizi, lo Stato non li usa. Tali principi devono essere riconosciuti come cardine di un approccio diverso. Più che riformare le leggi (che, pure, possono essere semplificate e migliorate) occorre coordinare e rendere coerenti, efficaci e responsabili le politiche pubbliche verso il Terzo Settore, nella prospettiva costituzionale della sussidiarietà circolare. Accettare questo punto significa superare la visione della Pubblica Amministrazione gendarme, dell’Agenzia delle Entrate
controllore, dello Stato soggetto appaltante: significa riconoscere la “cittadinanza attiva” come soggetto politico influente sugli indirizzi delle politiche pubbliche.
4. Il vecchio approccio che guarda alle organizzazioni e non alle attività. Si deve porre l’accento non sulle organizzazioni come tali (certo è auspicabile un riordino, ma non in chiave civilistica e non principalmente con questo taglio), ma sulle attività concrete che le stesse, e anche i singoli cittadini, realizzano per l’interesse generale. Valutare le azioni, e non le organizzazioni, rappresenta un nuovo modo di accostarsi al Terzo Settore, passando da una logica ancora centrata sul collateralismo tra politica e associazionismo, a una dove l’autonomia del sociale si manifesta attraverso la rilevanza delle iniziative messe in campo e funziona, a sua volta, da contrappeso all’autoreferenzialità delle forze politiche tradizionali. Si deve pienamente comprendere che la cittadinanza attiva, nelle sue forme variegate, è un soggetto politico, protagonista con le proprie peculiarità della ricerca dell’interesse generale e capace pertanto di indirizzo sulle politiche pubbliche, ma anche sulle correlative necessarie riforme di sistema politico. Altrimenti, sarebbe come se il governo, contrariamente alle intenzioni manifestate, non riconoscesse agli interlocutori associativi una legittimazione più piena. E, dunque, soltanto a condizione di definire in maniera più innovativa l’analisi del contesto di riferimento e di offrire una declinazione delle linee guida più conforme all’autentica interpretazione dell’articolo 118, u.c, sarebbe possibile ragionare in termini corretti, appropriati ed efficaci dei singoli punti contenuti nelle Linee guida del Governo.
di Anna Lisa Mandorino, vice segretario genarle di Cittadinanzattiva