Un primato per l’Italia: nel porto di Civitavecchia nei giorni scorsi è stato effettuato il primo rifornimento di una nave alimentata a gas naturale liquefatto (LNG). Un carburante alternativo che permette di ridurre drasticamente le emissioni dannose per l’ambiente. Una notizia positiva, che non segna però l’inizio di una prassi sistematica, ma costituisce soltanto un test isolato, destinato a non ripetersi più per diverso tempo.
L’utilizzo di LNG come carburante navale – su mezzi che montano appositi motori ibridi dual-fuel (diesel e gas) o esclusivamente a gas liquido – consente di ridurre a zero le emissioni di ossido di zolfo, di abbattere del 90% quelle di ossido di azoto e di contenere quelle di anidride carbonica (-25%), rispetto al combustibile tradizionale (il bunker). Si tratta di percentuali che garantiscono un reale impatto positivo sull’ambiente, e infatti il gas liquido è già ampiamente utilizzato a tale scopo in Nord Europa, dove dal primo gennaio 2015 diventeranno operative le aree ECAs (Emission Control Area), in cui sarà possibile navigare soltanto rispettando rigidi limiti sulle emissioni di zolfo (01,% sul totale). In queste regioni la navi alimentate a gas sono già una realtà: il primo traghetto al mondo dotato di motori ibridi, il Viking Grace, naviga ormai da oltre un anno e batte bandiera finlandese.
Non è quindi un caso se l’operazione di rifornimento effettuata nel porto di Civitavecchia non ha coinvolto una nave italiana, bensì il rimorchiatore Bokn, appartenente alla compagnia marittima norvegese Bube. Il mezzo, costruito dal cantiere turco Sanmar di Tuzla, durante il viaggio verso la sua destinazione finale nel Mare del Nord, dove opererà in assistenza a una piattaforma offshore dell’azienda petrolifera Statoil, ha fatto tappa nello scalo laziale dove la locale Autorità Portuale si è attivata per organizzare questo rifornimento sperimentale. L’obiettivo è stato quello di testare la capacità del porto in vista della futura costruzione di un centro di bunkeraggio di gas liquido, progetto che però attualmente è soltanto nella fase embrionale dello studio di fattibilità.
Rifornito con 15 tonnellate di LNG, che per l’occasione sono state fatte arrivare dal Belgio via camion autocisterna (una soluzione applicabile una tantum, ma insostenibile nel lungo periodo), il Bokn è quindi ripartito per la sua tappa successiva, prevista in Spagna, prima di raggiungere la acque “di casa” in Norvegia. Il problema è proprio che in Italia l’adozione dell’LNG come carburante navale è ancora bel lontana dell’essere attuata: “Il fatto che in Mediterraneo le limitazioni sulle emissioni di zolfo non entreranno in vigore prima del 2025 non ha certamente incentivato le istituzioni ad affrontare la questione con celerità, anche se devo ammettere che ultimamente qualcosa si sta muovendo e dallo scorso febbraio sono stati aperti dei tavoli ministeriali che hanno iniziato a lavorare al dossier”, racconta Paolo Dal Lago, Presidente dell’associazione Assogasliquidi, che nelle scorse settimane ha partecipato a Genova al congresso dell’organizzazione europea Aeglp.
Attualmente però non esistono in Italia infrastrutture portuali per lo stoccaggio e la distribuzione di LNG, né esiste un quadro normativo che ne consenta le realizzazione in tempi rapidi. La situazione non è migliore dal punto di vista delle navi: sono almeno due o tre i progetti portati avanti da armatori e cantieri italiani che riguardano la costruzione di mezzi marittimi alimentati a LNG. Ci sono l’armatore campano Salvatore Lauro, attivo nei collegamenti nel golfo partenopeo, che sta facendo trasformare il suo traghetto Palladio, e il costruttore veneto Visentini che sta lavorando a una nuova nave ibrida. Anche Fincantieri, nel suo stabilimento di Castellamare di Stabia, sta realizzando un mezzo a gas, che tuttavia è destinato a una compagnia canadese. In questo caso, però, le maggiori carenze sono da imputarsi al quadro normativo: “Noi possiamo certificare navi alimentate a gas – spiegano dal Registro italiano navale – basandoci su nostri protocolli che a loro volta sono stati redatti rispettando le linee guida dell’International Maritime Organizzation, ma da Roma mancano i necessari regolamenti e quindi non sarebbe per il momento possibile registrare queste stesse navi sotto bandiera italiana. Ultimamente però anche su questo fronte abbiamo riscontrato una maggiore disponibilità da parte delle autorità marittime competenti, e quindi possiamo sperare che la situazione si sblocchi presto”.