La memorabile vittoria alle elezioni europee del Pd guidato da Matteo Renzi mi ha fatto venire alla memoria un’altra vicenda di straordinaria trionfo della sinistra in Italia. Che è quanto accadde nel 1964 quando per la prima volta una città russa (Stavropol sul Volga) fu intitolata a un grande comunista italiano. Peccato che la città appunto, che prese il nome del segretario del Pci Palmiro Togliatti, fosse a lui dedicata grazie agli ottimi uffici del capitalista torinese (“servo dei padroni”) Vittorio Valletta, capo supremo della Fiat, il quale vincendo la concorrenza internazionale, con l’appoggio americano (e della Banca d’Italia) e umiliando la Citroen sostenuta dal generale De Gaulle, fu autorizzato a costruire la più grande fabbrica automobilistica dell’Urss, un affare da oltre 700 milioni di dollari del tempo. Come intuirà poi anche Steve Jobs, già quella volta ci volle un capitalista per fare la Rivoluzione, cosa normale per l’Italia, sicché di questi giorni non ci stupiamo che per la più grande vittoria elettorale nella storia della sinistra italiana sia stato necessario un “berluschino”, senza offesa per nessuno, un grande comunicatore, con poche idee rivoluzionarie, ma con una grande capacità di attrarre il consenso degli italiani con le promesse e i lustrini, lontano dalla severità, dalla cultura e dal rigore intellettuale del Pci, quanto un vicentino da un veronese.

È il destino del nostro paese. Per fare una cosa bisogna desiderarne un’altra totalmente differente. Mai dire quello che si vuole, mai puntare dritto al bersaglio. Per fare l’Unità ci vollero i massoni, gli inglesi e i francesi, un po’ meno i patrioti italiani. Per far pace coi preti e con la Chiesa, un fascista, anzi “Il fascista”, cattolici (non pervenuti). Per far crescere il mercato in Italia ci volle l’Iri, cioè l’impresa di Stato. Ci volle un ex comunista (D’Alema) per bombardare la Jugoslavia. I miei amici omosessuali non sanno che per vedere finalmente riconosciuti i loro diritti dovranno confidare più che in Scalfarotto in Pezzana, in gente tipo la Santanché o Borghezio, ben noti campioni di tolleranza. D’altronde noi interisti, per i futuri successi della Benamata, più che in Tohir, contiamo su Barbara. Insomma siamo il paese della contraddizioni non solo teoriche, non solo straordinarie. E ci va bene così.

D’altronde la tecnica è ben nota, un playboy non svela mai i suoi obiettivi, l’illusionista è tanto più abile, quanto più riesce a distrarre il pubblico da dove sta il trucco. Il problema è semmai un altro, che la tattica dell’apparente imprevedibilità, il serendipity di Renzi è un po’ macchinoso, obbliga a sforzi di fantasia che a lungo sono faticosi per chi li deve concepire. Da un punto di vista dell’impegno intellettuale è molto più facile elaborare un programma di vere riforme radicali, necessarie e meditate, che far passare tutta la politica nel sottofondo di una sarabanda comunicativa frastornante. Così alla fine (dio ce ne scampi!) il rischio è che anche il futuro sia come il passato. Cioè, quello di un paese che non vuole crescere e preferisce i giochini e le dissimulazioni al duro lavoro senza sotterfugi.

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