Ha già superato da un anno la colossale cifra del trilione di dollari, e non smette di crescere. È il debito studentesco americano, che rappresenta sempre di più un vero e proprio spauracchio per le finanze a stelle e strisce, una mina nelle pieghe del sistema economico d’oltreoceano. Secondo l’ultimo bollettino della Federal Reserve di New York, l’Household debt and credit report del 13 maggio, nel primo trimestre di quest’anno i prestiti d’onore agli studenti sono aumentati di 31 miliardi di dollari, il che equivale a un incremento complessivo di 125 miliardi rispetto a un anno fa, per una cifra complessiva di 1.110 miliardi di dollari. Il dato più preoccupante è il tasso di crescita nell’ultimo decennio: un incredibile +361% rispetto ai 241 miliardi del 2003. Un incremento verticale che non ha pari negli altri settori del credito (prestiti ipotecari, debiti contratti con carte di credito, prestiti per l’acquisto di automobili, mutui) e indica forti influenze specifiche del mercato. Come il costo delle iscrizioni, che dal 2004 a oggi è cresciuto due volte e mezzo più del tasso di inflazione. La preoccupazione per l’evoluzione della situazione è molta, tanto è vero che è stata appena approvata la possibilità di rifinanziare i vecchi debiti a tassi agevolati, mentre l’amministrazione Obama sta studiando un nuovo modo per condonare almeno parte di questi debiti – scaricandoli sui contribuenti.
Tuttavia i prestiti vengono utilizzati non solo per il pagamento delle rette universitarie ma anche per le spese vive degli stessi studenti, veri o presunti che siano. Come ha segnalato il Wall Street Journal, infatti, non mancano infatti i casi di chi – senza lavoro e con le finanze in rosso – decide di intraprendere in maniera fittizia un percorso di studio solo per poter accedere ai prestiti e far fronte alla quotidianità. Nonostante gli ultimi dati sbandierati dal presidente americano (disoccupazione in calo, ad aprile al 6,3% dal 6,7% di marzo), il mercato del lavoro Usa è al limite del collasso e i numeri in questo caso appaiono un puro maquillage comunicativo dal momento che aumentano senza sosta coloro che smettono del tutto di cercare un impiego e dunque, uscendo dalla forza lavoro, riducono la base di calcolo della disoccupazione. Solo nel mese di aprile, infatti, a fronte della creazione di 288mila nuovi impieghi quasi 1 milione di americani è stato silenziosamente “espulso” dal conteggio della forza lavoro, lasciando inchiodato il tasso di occupazione al 58,9%. Al momento gli Usa contano 9,75 milioni di disoccupati e oltre 92 milioni di cittadini che non vengono ricompresi nella forza lavoro, cifre clamorose se pensiamo che nel 2000 i disoccupati erano 5,48 milioni e i non lavoratori 74,75 milioni.
Per gli studenti, dunque, una situazione disastrosa, che porta circa due terzi di loro a investire cifre considerevoli e a caricarsi prematuramente sulle spalle un debito medio che supera i 20mila dollari a testa con l’obiettivo di trovare un lavoro adeguato che permetta di restituire quanto ricevuto. Il problema, però, è che questo lavoro non c’è. Una storia che ricorda da vicino la catastrofe dei subprime, i mutui – concessi a soggetti ad alto rischio di insolvenza – “esplosi” tra il 2007 e 2008. La Fed segnala che al momento il “delinquency rate” degli studenti, cioè la percentuale di prestiti non ripagati oltre i 90 giorni, è dell’11%. E’ l’unico tasso a doppia cifra tra tutti quelli relativi a mutui, prestiti ipotecari, carte di credito e debiti per le automobili. Non solo: circa metà del totale dei debiti studenteschi è attualmente stata “congelata”, grazie a speciali opzioni concesse ai prenditori. Escludendola dal calcolo e considerando solo i prestiti che seguono l’iter normale, il tasso di insolvenza sale oltre il 20%. Sarà questa la prossima bolla pronta a scoppiare?