L'8 giugno i presidenti israeliano e palestinese saranno ospiti della Santa Sede. Pregheranno insieme a Francesco per la pace in Medio Oriente. Bergoglio chiarisce che lo scopo non è di favorire la mediazione tra i due politici. Ma dal punto di vista diplomatico la posizione della Santa Sede è per la fine dei conflitti e in favore della "soluzione dei due Stati"
Shimon Peres e Abu Mazen saranno in Vaticano il prossimo 8 giugno per pregare con Papa Francesco per la pace in Medio Oriente. Dopo l’invito che Bergoglio ha rivolto loro durante il suo recente viaggio in Terra Santa, i presidenti israeliano e palestinese hanno accettato di ritrovarsi nel pomeriggio della seconda domenica di giugno insieme con Francesco per un incontro di preghiera. Non si tratta, infatti, come ha chiarito subito lo stesso Pontefice, di un riedizione vaticana dei summit di Camp David organizzati dall’allora presidente degli Usa Bill Clinton con i vertici israeliani e palestinesi.
Si tratta invece di un invito spontaneo, come ha voluto spiegare Francesco ai giornalisti durante la conferenza stampa tenuta sul volo di ritorno che lo ha riportato da Gerusalemme a Roma, che ha tenuto conto anche delle difficoltà di trovare un territorio neutro in cui questo incontro si poteva realizzare. Perciò la scelta della casa del Papa in Vaticano è apparsa sia agli israeliani che ai palestinesi la location ideale. “I gesti più autentici – ha spiegato Bergoglio ai giornalisti – sono quelli che non si pensano. Io avevo pensato che si poteva fare qualcosa, ma dei gesti concreti che ho compiuto nessuno era stato pensato così. Alcune cose, come l’invito ai due presidenti, si era pensato di farlo là, durante il viaggio, ma c’erano tanti problemi logistici, tanti. Il territorio dove si doveva fare, non era facile. Ma alla fine è uscito l’invito e spero che l’incontro riesca bene. I miei non erano gesti pensati, a me viene di fare qualcosa di spontaneo così. Sarà un incontro di preghiera – ha precisato il Papa – non per fare una mediazione. Con i due presidenti ci riuniremo a pregare soltanto e io credo che la preghiera sia importante e fare questo aiuta. Poi tutti tornano a casa. Ci sarà un rabbino, un islamico, ci sarò io. Ho chiesto al custode della Terra Santa di organizzare un po’ le cose pratiche”.
Dal punto di vista diplomatico, invece, la posizione della Santa Sede in favore della “soluzione dei due Stati” per la fine dei conflitti tra israeliani e palestinesi è nota da tempo ed è stata ribadita ancora una volta da Papa Francesco nel suo recente viaggio, sia a Betlemme che a Gerusalemme. Bergoglio ha fatto sue le parole pronunciate da Benedetto XVI in Terra Santa nel 2009 rinnovando l’appello affinché “sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto a una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La ‘soluzione dei due Stati’ – ha ribadito Francesco – diventi realtà e non rimanga un sogno”.
Un monito accompagnato anche dal gesto eloquente di Bergoglio, non previsto nel programma del viaggio, di sostare per alcuni minuti in silenzio davanti al “muro della vergogna”, la barriera di cemento che Israele sta costruendo dal 2002 e che corre in buona parte lungo i territori palestinesi. Alle parole del Papa ha fatto eco il Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin che ha sottolineato da una parte “il diritto di Israele di esistere e godere di pace e di sicurezza all’interno di confini internazionalmente riconosciuti. E dall’altra il diritto del popolo palestinese, di avere una patria, sovrana e indipendente, il diritto di spostarsi liberamente, il diritto di vivere in dignità“.
Twitter: @FrancescoGrana