Per un parallelismo sghembo, guardando la meraviglia di quei bambini che arrivavano dal Congo per riabbracciare i genitori, mi è tornato alla mente Maurizio Scelli, già commissario della Croce Rossa e poi parlamentare di Forza Italia, al quale, nel 2005, toccò occuparsi delle due Simone, le nostre operatrici umanitarie rapite in Iraq. Ho cercato nella rete conferma di un ricordo che all’epoca mi aveva portato al limite di una crisi di pianto (per la comicità della cosa) e una vecchia intervista del medesimo Scelli me lo ha illuminato. Alla domanda se qualcuna tra le persone riportate in Italia gli ha mostrato gratitudine, l’ex commissario risponde: “Agliana, Cupertino e Stefio sì, malgrado fossero stati in pratica liberati dagli americani. Altro discorso per le due Simone… e pensare che io per essere gentile avevo acquistato due vestitini di Prada, a mie spese, per farle rientrare in patria carine. Invece hanno voluto indossare quelle tuniche, il resto non vale la pena di essere commentato”.
Orgoglio Miuccia, due vestitini Prada!!!!
Tornate dalla cattività, il buon Maurizio le voleva “carine”, insomma.
Ecco, è di questa idea del carino che vogliamo parlare anche nella vicenda dei piccoli del Congo. L’idea, alquanto insopportabile, che il “carino” possa affiancare o addirittura sovrapporsi all’assoluto (carino=treccina della Boschi, assoluto=l’abbraccio dei genitori), che la convenienza della politica possa anche lontanamente cavalcare la felicità più trasparente che c’è, che la sola idea di portare il ministro più bello e dolce che abbiamo sull’aereo di quei bambini – e non il ministro deputato tra l’altro – sia l’ingrediente necessario per insaporire definitivamente il cocktail di successo della nostra diplomazia.
Una scena da Cinegiornale millecolori, una melassa vagamente ipocrita a uso di telecamere, che dovevano essere lì, su quella pista, solo per loro, per gli altri che non i politici. Che poi, per la comunicazione ufficiale sarebbe bastato un buon direttore generale della Farnesina.
È chiaro che lo stile è il problema di tutti i governi e soprattutto di questo, per via di un’informazione che ha preso ormai la via ruffiana del racconto agiografico, narrando le gesta del Nostro in ogni declinazione. E quando passeggia, e quando trova un soldino per terra, e quando ansima sulle spericolate macchine da ginnastica e quando non muove il sedere allo stadio e quando e quando e quando.
Quindi, caro Matteo Renzi, qui tocca scegliere. O ci fermiamo noi giornalisti e questo, come avrà ben compreso nei suoi primi 80 giorni, non è possibile per via di una naturale inclinazione a servire il potente di turno, o si ferma lei.
Stravincere anche sui bambini del Congo è un’idea volgare.
Ps. Racconta Buttafuoco sul Foglio: e sai che can-can se lo avesse fatto Silvio. Ecco, forse è il caso di non menarcela più con questa storia del “se lo avesse fatto Berlusconi”. Berlusconi ha fatto già tutto, tutto ciò che noi possiamo fare ora, lui lo ha già fatto. Ok? Ma basta con questi parallelismi che non hanno più senso. Lo stile c’era prima di Berlusconi e ci sarà anche dopo. E lui non ne è l’asticella.