A Canale, in provincia di Cuneo, la storia di tre giovani che hanno scelto il ritorno all'agricoltura, con l'obiettivo di produrre esclusivamente etichette con la denominazione legata alla propria terra
È una terra strana il Roero. Al confine con le blasonatissime Langhe, offre un panorama quasi selvaggio e gode di una vita autonoma fin dal Medioevo. Lo stesso nome della zona deriva da una nobile famiglia astigiana, che si distinse per coraggio durante le Crociate. La battaglia oggi, invece, si combatte sui mercati: in un momento difficilissimo per l’economia, c’è ancora qualche condottiero pronto ad accettare le sfide.
Nel cuore del Roero, a Canale, ne abbiamo conosciuti tre. Giovani, determinati e probabilmente anche un po’ folli. Alberto Oggero, Enrico Cauda e Luca Faccenda hanno rispettivamente ventinove, trentanove e trentadue anni: sommando le età arriviamo giusto a cento. Da tre anni, quasi in contemporanea, hanno deciso di abbandonare il posto di lavoro tradizionale, con lo stipendio assicurato, per mettersi a fare i contadini, quasi contro il volere delle famiglie: «Persino i nostri genitori – racconta Enrico – non erano d’accordo, perché tornare all’agricoltura è quasi una sconfitta per chi negli anni Sessanta aveva raggiunto il tanto agognato posto fisso».
E il proposito è stato ancora più azzardato: produrre esclusivamente i vini con la denominazione legata alla loro terra, ovvero Roero Arneis e Roero DOCG (da vitigno Nebbiolo). Una scelta coraggiosa, visto che sarebbe stato sicuramente vantaggioso produrre Langhe Nebbiolo e Nebbiolo d’Alba, più noti sui mercati nazionali e internazionali. Ma i ragazzi non vogliono sentire ragioni: «Noi – dicono quasi all’unisono – vogliamo raccontare e vendere il territorio nel quale siamo nati e provare a farlo crescere. Per questo, intendiamo intraprendere anche la strada del vino biologico».
In effetti, il Roero ha una personalità molto spiccata. Si distingue dalle Langhe perché si trova dall’altra parte del Tanaro e le caratteristiche sono del tutto diverse. Le colline sono più piccole e scoscese, persino impervie in alcuni punti, con una ricchezza che risalta nel paesaggio: vigneti curatissimi si trovano accanto a boschi incolti, ordinati frutteti sono intervallati da orti casalinghi. E se nelle Langhe il terreno è marnoso e argilloso, il Roero è geologicamente più giovane e sabbioso, in grado di regalare ai vini finezza e sapidità. Il Roero Arneis è così un bianco che riesce a sostenere un invecchiamento notevole (almeno fino a cinque anni) e il Roero è un rosso importante, che si sviluppa al naso e alla bocca contemporaneamente, senza richiedere un affinamento troppo lungo. «Vogliamo dare risalto a queste differenze – dice con enfasi Luca, il più estroso dei tre – perché non è giusto che il Roero scimmiotti il Barbaresco e il Barolo. Sono tutti grandi vini, ma qui la terra è diversa e i prodotti sono differenti».
Tipi forse stravaganti, ma d’altra parte “arneis” in dialetto locale indica una persona un po’ scontrosa, che va per conto suo. E così, Luca, Alberto ed Enrico hanno anche fondato l’associazione soloRoero, col fine di promuovere il nome e il territorio. Il logo, non a caso, risente delle origini orgogliose di questa terra: la moglie di Luca, Carolina, ha ripreso il nobile stemma dei Roero, caratterizzato da tre ruote di carro, e le ha rivisitate in chiave contemporanea, trasformandole in tre ruote di tandem. Perché? Risponde Alberto: «Pedaliamo nella stessa direzione. Ognuno mantiene le sue tecniche di produzione, ma collaboriamo. È più facile quando si è insieme, anche dal punto di vista emotivo. A volte litighiamo, spesso ci divertiamo. E ci piacerebbe “pedalare” anche con altri imprenditori del Roero e non solo produttori di vino. Penso ai prodotti tipici, come il prosciutto arrosto di Canale, le fragole e le pesche. Insieme ce la possiamo fare». Uno yes we can dalla Granda.
di Danilo Poggio