Calma, ragazzi! Matteo ha (stra)vinto in Italia; ed il Pd è stato il partito percentualmente più votato in un grande Paese Ue e magari il più votato in assoluto. Ma Angela in Germania non ha mica perso: il suo partito ha preso oltre il 36% dei suffragi; e i risultati hanno ribadito la sua legittimità come cancelliere e la solidità della grande coalizione -Cdu/Csu con Spd-.
Quindi, Matteo è più forte, ma Angela non è più debole.
E non è neppure che quelli che hanno perso adesso si metteranno a tappetino. Prendete Hollande, una sberla storica, mai così in basso i socialisti francesi. Eppure, s’è presentato al Vertice europeo del 27 maggio affermando con prosopopea che senza la Francia, e senza l’intesa franco-tedesca, l’Europa non va da nessuna parte. Il concetto potrà pure dispiacerci, e potremo pure trovare patetico il presidente francese, ma è così.
E prendiamo Cameron: i suoi conservatori sono stati retrocessi a terza forza. Eppure, a Bruxelles, fa la voce grossa e minaccia un veto, che non ha il potere di mettere, anche se la stampa italiana glielo attribuisce, sulla nomina del presidente della Commissione e sulle altre cariche pendenti. Non gli piace neppure il lussemburghese Juncker, che giudica troppo ‘europeo’, nonostante abbia già dato prova di acquiescenza alla volontà dei Grandi e non abbia condotto una campagna da kamikaze federalista.
Ora, in Europa, e forse pure in Italia –ma è un altro discorso-, è il momento di tessere, con la forza che deriva dall’ampiezza della vittoria, alleanze e rapporti durevoli e credibili. Non battere i pugni sul tavolo, non maramaldeggiare sui partner in difficoltà, ma costruire politiche e ottenere risultati. Da questo punto di vista, la presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, dal 1° luglio, non poteva cadere meglio: è un’occasione da sfruttare per riaffermare il ruolo dell’Italia in Europa e correggere la rotta dell’Unione. Senza borie né smargiassate. Con competenza e concretezza.