Non è certo la prima volta che Krugman dedica i suoi articoli di macroeconomia alla crisi europea, ma stavolta aveva una ragione di più per farlo proprio in funzione della tornata elettorale che potrebbe spostare, per volontà degli elettori, la catastrofica gestione della politica economica fatta negli ultimi cinque anni dagli “eurocrati”.
Secondo Krugman quel sogno di “pace garantita dalla democrazia e dalla prosperità”, punto centrale del progetto di unità tra i popoli d’Europa, è ora in affanno, perché nel continente la pace oggi c’è, ma la prosperità son troppo pochi ad averla, rendendo quindi evanescente anche l’impianto della democrazia. E se l’Unione Europea si sfascia, il problema non sarà certamente soltanto europeo”.
Krugman castiga ancora una volta gli “eurocrati”, nell’articolo “Crisis of the Eurocrats” di giovedì scorso sul New York Times, per i macroscopici errori commessi quando hanno approvato l’adozione di una moneta unica senza prima averne creato le necessarie e paritarie condizioni di utilizzo e, più recentemente, quando hanno imposto politiche di austerità selvaggia proprio in pieno periodo di recessione, aggravando così i problemi economici invece che risolverli. Tuttavia, nonostante questi autentici misfatti, l’Europa Unita sembra resistere alle spinte disgregazioniste, e questo è senza dubbio un rimarchevole segno di affezione degli europei.
Se però gli eurocrati hanno avuto fretta nel realizzare l’unione dei paesi, e ancor più quella monetaria, non tutto ciò che è stato realizzato in Europa è da buttare.
Krugman, per esempio, nel suo articolo “Europe’s secret success” di domenica scorsa rivaluta l’originaria visione ideologica dei politici europei, e indica nel welfare state europeo (sistema sociale di assistenza e redistribuzione della ricchezza) come nettamente il migliore al mondo. Certamente migliore, per la popolazione, rispetto a quello ad indirizzo capitalista-oligarchico attuato in America e altrove. E lo è persino in un punto, quello della creazione dei posti di lavoro, che invece dagli stessi politici europei attuali viene indicato come da modificare urgentemente per rincorrere il sistema americano.
Dice Krugman: il sistema capitalista americano è ancorato nell’errata convinzione che per creare posti di lavoro bisogna tassare il meno possibile i “creatori” di lavoro, cioè i ricchi. E bisogna evitare di essere troppo generosi coi lavoratori, perché ciò li rende meno competitivi e determinati nella ricerca di un nuovo lavoro quando lo perdono.
Questi due miti del capitalismo sono palesemente falsi, perché da almeno tre anni le imprese americane fanno, nel loro insieme, records storici di utili, ma pagano molte meno tasse delle imprese europee che concorrono invece a mantenere un alto livello di welfare-state, a tutto vantaggio del modello di vita della popolazione.
Se fosse vero che il raggiungimento di utili sostanziosi fosse l’elemento primario per la creazione dei posti di lavoro, da tre anni la disoccupazione in Usa dovrebbe essere al minimo storico, invece è ancora tra il 6 e il 7%. E se fosse vero che è l’assistenzialismo sociale a scoraggiare i disoccupati a cercarsi un nuovo lavoro, quando quest’anno il Congresso ha mancato di rinnovare i fondi per quei contributi avremmo dovuto assistere alla corsa degli “svogliati” per prendere un lavoro qualsiasi, e al conseguente crollo dell’indice dei disoccupati di lungo periodo, invece si è assistito solo al mesto scivolare di migliaia e migliaia di individui, con le loro famiglie, dentro la fascia di povertà, con praticamente nessuna speranza di poter risalire la china.
Uno studio del prof. Krugman, in collaborazione con il portoghese Antonio Fatas, dimostra che il sistema del welfare europeo è di gran lunga migliore di quello americano anche per quanto riguarda la tutela dei posti di lavoro.
Quindi, caro Renzi & C., se non vogliamo ritrovarci anche noi in un prossimo futuro con le periferie punteggiate dalle colorate tende degli sfrattati e dei senza lavoro, pensiamoci bene prima di copiare il fallimentare sistema assistenziale del modello americano.