Un piano di destabilizzazione delle Istituzioni da parte della criminalità organizzata, da mettere in atto attraverso le stragi. Sembra la sintesi del processo sulla Trattativa Stato-mafia e invece è l’allarme lanciato già nel 1992 dall’allora ministro dell’Interno Vincenzo Scotti.
“Nascondere ai cittadini che siamo di fronte ad un tentativo di destabilizzazione delle istituzioni da parte della criminalità organizzata è un errore gravissimo. Io ritengo che ai cittadini vada detta la verità e non edulcorata, la verità: io me ne assumo tutta la responsabilità” disse l’allora responsabile del Viminale davanti alla commissione Affari Costituzionali del Senato. Era il 20 marzo del 1992, solo otto giorni dopo l’omicidio di Salvo Lima e ben due mesi prima della strage di Capaci, eppure l’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi aveva già diramato una nota alle prefetture. “Sono state rivolte minacce di morte contro il signor presidente del Consiglio (Giulio Andreotti, ndr) e ministri Vizzini e Mannino (…) per marzo – luglio campagna terroristica contro esponenti Dc, Psi et Pds (…) Strategia comprendente anche episodi stragisti” scriveva Parisi, delineando con alcuni mesi d’anticipo ciò che si sarebbe in parte compiuto, dopo aver ricevuto alcune segnalazioni arrivate da una fonte confidenziale, probabilmente Elio Ciolini, oscuro faccendiere al centro di mille intrighi internazionali e all’epoca detenuto.
“La notizia della circolare alle prefetture venne resa pubblica dal Corriere della Sera e divenne un problema politico, per cui io fui chiamato a riferirne in parlamento” ha raccontato Scotti davanti ai giudici della corte d’assise di Palermo, deponendo stamattina (giovedì 29 maggio) come teste del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. “In quell’occasione – ha spiegato l’ex esponente democristiano – misi la commissione parlamentare davanti alla scelta se andare allo scontro frontale con la criminalità organizzata o convivere con essa”. L’allarme di Scotti però non fu preso sul serio in ambito istituzionale: l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti lo bollò addirittura come una “patacca”, sconfessando in modo clamoroso il suo ministro dell’Interno.
La testimonianza di Scotti è considerata molto importante dai pm di Palermo: in particolare gli inquirenti stanno cercando di fare luce sui motivi che portarono l’avvicendamento tra l’esponente della Dc e Nicola Mancino al Viminale, nel giugno del ’92, quando si insediò il nuovo governo guidato da Giuliano Amato. “Quando accelerai per l’approvazione del decreto sul 41 bis percepii un clima di isolamento politico, attraverso il silenzio – continua Scotti – o attraverso gli attacchi. Il silenzio è molto più pesante”.
Con l’insediamento di Amato, Scotti viene spostato al Ministero degli Esteri, e sostituito da Mancino, oggi imputato nel processo sulla Trattativa per falsa testimonianza. “Non so perché avvenne questo cambio – ha raccontato Scotti -, Ciriaco De Mita mi disse che avrei dovuto scegliere gli Esteri e mi chiese di scegliere tra il governo e il parlamento, dicendo che c’era una forma di incompatibilità. Io non chiedevo di restare al governo, ma se c’era la possibilità di continuare nell’azione intrapresa da me, avevano tutta la mia disponibilità. Ma, purtroppo, non c’era disponibilità alcuna per cambiare posizione all’interno del governo”.
Al Palazzo di Giustizia di Palermo nel frattempo la tensione continua ad essere alle stelle: ieri una lettera anonima recapitata all’Ansa faceva riferimento ad un attentato “scoppiettante” da preparare ai danni del procuratore generale Roberto Scarpinato. La missiva è firmata con una sigla sconosciuta, Pra, che ricorda vagamente le prime rivendicazioni della Falange Armata negli anni ’90, siglate con l’acronimo Fac.
Oggi invece una lettera di minacce è arrivata a Enrico Bellavia, cronista giudiziario di Repubblica. “È evidente che c’è qualcuno che vuole sempre alzare, e tenere alta, la tensione, cercando di disturbare il lavoro della magistratura. Io credo che noi dobbiamo andare avanti con la stessa determinazione di sempre. La collettività ha necessità di capire. Di essere informata, e cercare di comprendere senza sottovalutare nulla” ha commentato il pm Nino Di Matteo, a sua volta destinatario nei mesi scorsi di minacce di morte, contenute sia in missive anonime ma anche nei colloqui intercettati in carcere tra Totò Riina e Alberto Lorusso (guarda).