Dovrà raccontare tante cose Antonio Iovine, ‘o Ninno, padrino e cofondatore del clan dei Casalesi ai pm della Dda partenopea Antonello Ardituro e Cesare Sirignao. ‘O Ninno ha deciso di collaborare con lo Stato. Niente pentimento o rimorso di coscienza. Lui è un camorrista, il suo mestiere con decine di omicidi fatti e ordinati se l’è scelto con convinzione. I suoi racconti dal dì dentro potrebbero svelare la filigrana di quell’enorme potere criminale-politico-imprenditoriale “usato” soprattutto da altre entità per fare affari e ricoprire ruoli importanti nelle istituzioni.
Un potere monolitico e a più livelli perpetratosi per oltre 30 anni. Un sistema perfetto come un orologio svizzero oleato e che funzionava e funziona senza neppure darci corda. Ognuno aveva ed ha il proprio posto e ruolo. Un sistema nel sistema dove la politica di qualsiasi colore si è agganciata per potere e per avviare e consolidare fulgide carriere politiche e istituzionali. Il controllo totale degli appalti e subappalti, la tariffa del 5 %, le tangenti, la corruzione, le raccomandazioni, i favori, bustarelle erano e sono il Dna. La “mentalità casalese” di cui parla Iovine è la mentalità inculcata dalle stesse pratiche di uno Stato non assente ma connivente e convivente con un sistema molto più ampio e vasto della sola camorra. I clan a volte diventano solo un passepartout. Un esempio? Gli stessi imprenditori soprattutto del Nord cercavano raccomandazioni per accreditarsi al padrino, stesso discorso per “qualche” politico o qualche piacere chiesto da cardinali. Vedi consorzi, emergenze, decreti speciali, progetti, somme urgenze, assunzioni, promozioni, finanziamenti, centri commerciali, infrastrutture. Ci siamo capiti. La somma delle parti in gioco insomma era più grande delle parti partecipanti. Uno spaccato agghiacciante di un pezzo d’Italia.
E’ la nostra storia, è la maledetta storia dell’eterna trattativa di uno Stato sempre estraneo agli onesti. Certo c’erano anche storie in discontinuità di politici, amministratori, imprenditori, sacerdoti: rarità che si contano sulle dita di una mano e per giunta molti finiti con i piedi avanti. Misuriamo il fallimento dello Stato, di una finta società civile lacrimosa e autocentrata su sé stessa. Le dichiarazioni di Iovine – una volta pesate e circostanziate – devono far riflettere e mandare a casa o meglio marchiare a vita un’intera classe politica-istituzionale, imprenditoriale, burocratica, delle associazioni indegna e con una mentalità camorrista. Attenzione non è questione di processi, assoluzioni e di merito. Chi non era colluso con quel sistema immutabile è stato omissivo. Trovato un posto all’ombra ha conservato il proprio potere con silenzio-assenso e sfruttato la filosofia del “Razzi-Crozza” – “amico fatti i cazzi tuoi”.
La decisione di collaborare di Antonio Iovine, per quanto riguarda gli assetti criminali, potrebbe avere sull’organizzazione gli stessi effetti che negli anni Novanta ebbero i pentimenti di boss del calibro di Carmine Alfieri e Pasquale Galasso sul destino della Nuova Famiglia in guerra con la Nco di Raffaele Cutolo ma soprattutto svelare la chimica dei rapporti intrecciati tra Stato e antistato che a volte sono fatti della stessa antimateria. In gran segreto da mesi ‘O Ninno ha riempito verbali su verbali con centinaia di “omissis”. Adesso tutti commentano e fanno i distinguo. Molti in silenzio temono. Altri fischiettano e fanno finta di nulla. Poi ci sono quelli che hanno rimosso. Concludo citando il lavoro solitario, non garantito e poco pagato di un giornalista-giornalista – per lo più sconosciuto – perché lontano dalle frequentazioni di casta, dei circoletti, dall’autocelebrazione, dell’io, io, io.
Si chiama Carlo Pascarella, nel 1998 lavorava come cronista a il Corriere di Caserta. Pascarella con intuito e bravura intercetta una grande notizia e la scrive. Per enormità e importanza è simile a quella che condannò a morte Giancarlo Siani, il cronista abusivo che lavorava a il Mattino di Napoli. Pascarella sa e scrive che il vertice mafioso della cosca-clan dei Casalesi è in lite. Ci sono ammanchi e discussioni. I due padrini latitanti Michele Zagaria e Antonio Iovine che lo Stato non riesce ad acciuffare sono separati in casa. Si ignorano e sono guardinghi. Gli fedelissimi si guardano in cagnesco. C’è il pericolo che scoppi una scissione ovvero una faida, una guerra. Pascarella ne è certo e lo documenta con puntualità nelle cronache del suo giornale. Un azzardo. Una notizia enorme che nessun altro riprende.
A distanza di sedici anni Antonio Iovine da collaboratore di giustizia racconta e ammette ai pm che “Fummo io e Zagaria a telefonare a un giornalista per minacciarlo; scriveva cose vere, ma sgradevoli”. Eccola la telefonata, ascoltatela, mette i brividi. “Sono Michele Zagaria. No, non è uno scherzo. Sono io personalmente. Io così le faccio le cose perchè io sono una persona seria e lei no…Aspetta un attimo ti passo pure Antonio Iovine…va bene? Cosi ti togli questo pensiero di scrivere sempre stronzate, stronzate… Secondo me un professionista serio , no? Tutte queste stronzate non le scrive. E’ chiaro? Desso ti passo Antonio Iovine. Pronto sono Antonio Iovine. Senta noi non stiamo scherzando perchè ci siamo stufati di fare tutte queste cretinate”. Merito a Carlo Pascarella, un collega bravo e con l’umiltà dei grandi che sull’argomento ripete sempre la stessa cosa: “Ho fatto solo il mio dovere di cronista e niente altro”. Lo stesso Iovine è a processo per le minacce alla giornalista Rosaria Capacchione e allo scrittore Roberto Saviano.