Il risultato delle elezioni europee ha fatto scoprire al Movimento 5 Stelle una dimensione inedita: la sconfitta. Di fronte a una novità, stanno reagendo esattamente come tutti quelli che ci sono passati prima di loro. Sconti, psicodrammi, autoanalisi. Elaborare una delusione, anche in politica, non è mai stato facile. Ingrediente primo dovrebbe essere una seria autocritica, che però al momento si palesa a fasi alterne. C’era nel video di Grillo in cui prendeva un Maalox, non c’è nel mirror climbing del “tutto sommato abbiamo vinto”, “è colpa di giornalisti e pensionati”. O, peggio ancora, nella teoria dei brogli e del complotto.
È vero, come scriveva ieri Di Battista, che in Italia quasi 6 milioni di voti alle Europee sono “un trionfo” per un movimento giovane e anomalo. Il problema è che, dopo mesi di “vinciamo noi”, sarebbe parso deludente anche un 28%. La comunicazione resta un tallone d’Achille per M5S ed è proprio questo aspetto a rivelarsi nuovamente critico nella elaborazione della sconfitta. È di ieri la faida tra i “responsabili della Comunicazione” e il tandem Grillo-Casaleggio. Primo aspetto: Biondo, Messora e Casalino hanno fatto molti errori, ma a metterli lì sono stati proprio Grillo e (più che altro) Casaleggio. In un primo momento c’era pure Martinelli, che durò meno di Tabarez al Milan e fu cacciato dai deputati stessi del Movimento (oggi Martinelli sverna a Matrix ed è bravissimo a desertificare il consenso. Persino più di Becchi).
Secondo aspetto: i responsabili della comunicazione, nel merito, hanno ragione. Nel dossier scrivono: “Abbiamo trasmesso energia distruttiva“; “L’hashtag #vinciamonoi scelta paradossale con effetto perverso”; “Parlamentari percepiti come saccenti”; “Bisogna prendersi le piazze mediatiche degli altri”. Condivisibile anche Silvia Virgulti, Tv-coach esterna allo staff che – riferiscono fonti parlamentari – ha criticato la comunicazione “negativa” di Grillo e il messaggio “inquietante e non rassicurante” di Casaleggio. La Virgulti ha ragione anche quando afferma che i voti sarebbero stati molti di meno se i parlamentari più bravi non fossero andati in piazze e tivù. Casaleggio e Grillo non hanno gradito, ed è un eufemismo, sia per il contenuto (e qui hanno torto) sia per il modo (e qui non hanno torto).
La disillusione ha sdoganato il protagonismo a tutti i costi, tramutando chiunque in eroe che conosce la cura. Se poi Biondo e Casalino paiono avere adesso le idee chiare, non le hanno sempre avute in passato, ora mandando parlamentari allo sbaraglio mediatico (Carla Ruocco a Otto e mezzo) e ora impedendogli di frequentare determinati talkshow. Quel dossier doveva restare interno, ma è diventato una mannaia pubblica che erotizza gli avversari. E se i responsabili della comunicazione sbagliano la comunicazione, ricevendo strali anzitutto da chi gli ha dato quel ruolo, il cortocircuito è totale. Nel delirio generale è rispuntata fuori anche Roberta Lombardi.
Ieri, dopo aver tuonato per la millesima volta contro i dissidenti brutti sporchi e cattivi, ha oltrepassato la leggenda: “Sui palchi o in tv ci vanno Di Battista, Morra, Di Maio o la sottoscritta semplicemente perché siamo più bravi“. Lombardi ha citato nomi effettivamente bravi, eccezion fatta chiaramente per il suo: se tutti i parlamentari fossero come lei, M5S prenderebbe il 2%. A inizio legislatura ha fatto più danni della grandine e la sua boria esibita in streaming resterà negli annali, eppure non l’ha ancora capito: qualcuno abbia il buon cuore di dirglielo (magari la Virgulti). Il Movimento 5 Stelle è in difficoltà ed è naturale. Tutto è risolvibile, tranne forse una cosa: l’alleanza con un figuro improponibile come Farage. Un’idea poco meno che allucinante.