Da Bassano del Grappa, terra di passioni ciclistiche e di tribolazioni belliche, il Giro che finirà domenica a Trieste, si è spostato di appena ventisei chilometri e ottocento metri, un assalto alla baionetta per conquistare Cima Grappa, montagna sacra della Grande Guerra, una salita che vuol dire diciannove chilometri senza pausa, un dislivello di 1538 metri, con una pendenza che non scende mai sotto l’8-9 per cento, con punte del 14. Una prova per scalatori che tuttavia devono saper tirare anche in pianura. Per questo, i migliori hanno adottato la strategia della bike stop, il cambio di bici. Nairo Quintana, per esempio, ha impiegato diciassette secondi, compresa la sostituzione del casco, per passare dalla bici con ruota lenticolare posteriore a quella per le arrampicate. Fabio Aru è stato più lesto: tre secondi in meno.
Alla fine il pronostico è stato rispettato. Nairo Quintana ha vinto e convinto. Non ha tuttavia stravinto. Almeno, non nei confronti di Fabio Aru che alla fine ha perso per diciassette secondi, dopo essere stato sempre – rilevamenti cronometrici alla mano – lì lì con la maglia rosa. Gli altri avversari hanno perso cospicuo terreno: Rigoberto Uran Uran, terzo, ha beccato un minuto e 26”. Pierre Rolland, 1’57”. Domenico Pozzovivo, quinto, 2’24”. Cadel Evans, undicesimo, quattro minuti e 26”. La classifica si è fatta più severa, le differenze più marcate. L’unico che ha guadagnato è stato proprio il sardo Aru, ora potrebbe tentare l’assalto al secondo posto di Uran Uran, i due sono separati da quarantun secondi. In scena c’è il micidiale Zoncolan. Pendenze criminali, anche il 25 per cento. In più, previsioni meteo che sembrano fatte apposta per agguati e drammi: pioggia, freddo, forse qualche spruzzatina di neve.
Le cronoscalate sono giudici impietosi: il corridore affronta solitario salite e tornanti. Non ha punti di riferimento, se non se stesso. Il confronto è col cronometro. L’auricolare deprime il morale del ciclista, quando ascolta i tempi degli avversari. I migliori partono tre minuti uno dopo l’altro. Il sorpasso è come uno schiaffo. Quintana e Aru hanno fatto il vuoto. Sono entrambi classe 1990, come molti altri protagonisti di questo Giro. Sono scalatori, con la differenza che Quintana ha più potenza e può rollare rapporti duri, mentre il lungagnone Aru, molto leggero, ha grande forza ed è uno scattista, un grimpeur che si esalta sollevandosi sui pedali. Il popolo della bicicletta l’ha subito adottato. La sua corsa è generosa, all’attacco, quando ha energia addosso, ci prova sempre.
Quintana è di un gradino superiore, per il momento: lui con modestia dice che i corridori della sua generazione sono relativamente forti, e che possono competere coi campioni come Nibali, Contador, Froome: “Ma abbiamo ancora molto da imparare”. Quintana e Aru hanno una caratteristica in comune: parlano con pacatezza, sono razionali, caparbi, orgogliosi. Alle accuse d’aver fregato almeno un minuto lungo la discesa dello Stelvio, perché non avrebbe rispettato la tregua decretata dall’organizzazione per permettere a chi voleva di cambiarsi – si gelava, e si temeva che il nevischio rendesse pericoloso il fondo stradale – Nairo ha risposto come solo i fuoriclasse sanno fare, al momento giusto: vincere. La maglia rosa che arriva prima è un segnale che i tifosi apprezzano e gli avversari rispettano. Le imprese dettano sempre ammirazione.
Un Giro vinto da Quintana, nobilita la corsa rosa perché è il migliore che lo ha conquistato: “Oggi non potevo non vincere. Ho fatto ciò che la gente voleva vedere da me”. Più che la gente, i colleghi di pedale. Da due giorni è arrivata la moglie con la bimba che ha appena quattro mesi. Il matrimonio ha responsabilizzato Quintana. Gestisce la corsa con sapienza, e maturità. Grande merito va al suo direttore sportivo, Eusebio Unzue, che ai tempi della Banesto pilotava Miguel Indurain. La filosofia di fondo è: non farti troppi nemici e sii generoso con gli amici.
Il ciclismo italiano ha trovato un nuovo eroe, e si aspetta epopea. Vincenzo Nibali è siciliano. Fabio Aru, sardo. Sono compagni di squadra. L’Astana kazaka, guidata dal discusso ex corridore Aleksandr Vinokourov, campione olimpionico ai Giochi di Londra, che al Tour del 2007 se la filò dalla finestra per evitare di finire in gattabuia. Col doping, in Francia, se ti beccano, non scherzano.